Assai importante è la distinzione tra esercizio di fatto di un'attività che corrisponda ad una servitù, condotta che con il tempo può dare origine all'usucapione del diritto
e comportamenti semplicemente tollerati da parte del soggetto che potrebbe legittimamente impedirli (Cass. Civ. Sez. II,
11118/91; Cass. Civ., Sez.II,
10894/13), ciò che invece non dà vita ad una situazione di possesso valevole ai fini dell'usucapione del diritto reale.
Se il proprietario di un fondo consente ad un soggetto di passarvi saltuariamente soltanto in forza dei rapporti di parentela (cfr. Cass. Civ., Sez. II,
15183/2019), di buon vicinato o di amicizia, è evidente che questo non significa che successivamente, avvalendosi di questo fatto, colui al quale sporadicamente è stato consentito il transito possa accampare pretese giuridicamente fondate.
In linea teorica la distinzione è chiara, assai meno perspicuamente essa si pone nella pratica. La saltuarietà del passaggio non è stata ritenuta di per sè un elemento di sicura esclusione del possesso della servitù, ogniqualvolta non si riscontri l'interesse di una frequente utilizzazione del transito (Cass. Civ. Sez. II,
2598/97).
La lunga durata dell'attività, pur in presenza di saltuarietà, in assenza di vincoli particolarmente stretti tra il
dominus e colui che esercita di fatto il potere è stata ritenuta elemento presuntivo dell'esistenza del possesso e della correlativa esclusione di una situazione di semplice tolleranza (Cass. Civ. Sez. II,
4327/08; Cass. Civ. Sez. II,
8498/95). Tuttavia anche una lunga durata non implica necessariamente il requisito della continuità che dovrebbe qualificare il possesso ai fini dell'usucapione. Così è stata negata l'usucapione di una servitù di passaggio nel caso in cui il portone che avrebbe dovuto dare accesso al fondo rimaneva chiuso durante la notte ed anche periodicamente durante la stagione estiva (Cass. Civ., Sez. II,
7219/13).
Sotto il profilo probatorio è stato inoltre deciso che, in armonia con la considerazione in base alla quale nell'esercizio del potere di fatto si manifesta l' animus che corrisponde ordinariamente al possesso, spetta a colui che sostiene la qualificazione della condotta in chiave di tolleranza di darne la prova (Cass. Civ. Sez. II,
2598/97).
E' evidente che, quando la servitù non può considerarsi apparente, non potendo il relativo possesso valere ai fini dell'usucapione, viene addirittura superata la questione relativa alla tolleranza, pur configurabile astrattamente (Cass. Civ. Sez. Unite,
10285/96).