Rivalsa dell’IVA a seguito di accertamento



Con l’art. 93 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27, è stato eliminato il “divieto di rivalsa” dell’IVA pagata per effetto di atto di rettifica.

Nel testo previgente l’art. 60, comma 7, D.P.R. n. 633/1972 disponeva che “il contribuente non ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta pagata in conseguenza dell’accertamento o della rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi”. Con il rischio che lo Stato potesse incassare due volte l’IVA: in occasione dell’immissione dei beni o servizi al consumo finale e anche a causa del divieto del soggetto passivo accertato di operare la rivalsa.

Secondo la giurisprudenza di legittimità il precedente divieto era “ispirato dall’esigenza di garantire la stabilità dei rapporti giuridici, che sarebbe compromessa da rivalse su operazioni ormai remote e dal tentativo del cessionario - se soggetto passivo d’Iva - di detrarre la relativa imposta; esigenza che prevale rispetto alle ragioni di politica tributaria ispiratrici della neutralità dell’IVA e della tassazione del solo consumo finalenota1 e pertanto “Il cedente (o prestatore) non ha diritto all'addebito nei confronti del cessionario (o beneficiario) della rivalsa della maggiore IVA accertata in sede di rettifica da parte dell'autorità fiscale dovendo prevalere il principio di stabilità degli effetti giuridici su quello di neutralità dell'impostanota2.

Il nuovo comma 7 dell’art. 60 prevede, ora, esattamente il contrario “Il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione”.

In buona sostanza la nuova norma consente al cedente/prestatore del servizio di rivalersi della maggiore IVA accertata nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi, consentendo a questi ultimi di operare la detrazione dell’IVA richiesta a seguito dell’’accertamento.
Anche per effetto della procedura di infrazione (n. 4081/2011) della Commissione europea, che dubitava della conformità del divieto di rivalsa dell’IVA accertata in capo al soggetto passivo rispetto all’art. 167 della Direttiva 2006/112/CE, è stato eliminato il divieto di rivalsa dell’IVA pagata a seguito di atto di accertamento o rettifica, ponendo così rimedio alla evidente violazione del fondamentale principio di neutralità del tributo (secondo cui all’esigibilità del tributo corrisponde simmetricamente la sua detrazione in capo al cessionario o committente, cfr. art. 167 Direttiva 2006/112/CE secondo cui “Il diritto a detrazione sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile”).

La nuova disposizione è finalizzata ad incentivare la definizione in adesione degli avvisi di accertamento da parte del soggetto “accertato” o “rettificato”.
Infatti, poiché, il destinatario dell’avviso di rettifica potrà rivalersi dell’IVA che dovrà pagare, sebbene dovrà farsi carico degli interessi e delle sanzioni) sarà per lui conveniente definire in accertamento l’atto di accertamento (pagando le sanzioni ridotte) anche in presenza di valide ragioni per proporre ricorso.

Il nuovo diritto del contribuente di rivalersi (facoltà e non obbligo) nei confronti del cessionario/committente della maggiore IVA dovuta a seguito di accertamento è possibile a condizione che il cedente abbia provveduto al pagamento dell’imposta accertata (anche se la legge nulla dice, è da ritenere a titolo definitivo) nota3, delle sanzioni e degli interessi. Quid iuris se se le sanzioni non sono dovute, ad esempio perché erroneamente indicate ovvero perché non dovute in presenza di cause di non punibilità. La norma non pare fornire alcuna via di uscita, salvo ricorrere ad una “interpretazione” adeguatrice che tenga conto solo delle sanzioni effettivamente dovute (ma in tal caso si creerebbe il problema di accertare definitivamente se sono o meno dovute).

Specularmente il cessionario/committente, se soggetto passivo IVA, ha diritto alla detrazione dell’IVA versata al cedente che può essere esercitato entro il secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto al cedente o prestatore l’IVA addebitata in via di rivalsa (quindi in un termine indeterminato ben oltre il termine di esigibilità del tributo). La risultante economica di queste operazioni è la neutralità dell’imposta per i soggetti passivi.

Con riguardo al cessionario o committente nel caso di accertamenti presuntivi, ad esempio rettifiche fondate su studi di settore, presunzione di cessione dei beni acquistati o prodotti non reperiti nei locali dell’impresa, ecc. è difficile accertare se il cessionario o il committente indicato sia quello effettivo e, quindi, esercitare il diritto di rivalsa.

Note

nota1

Cfr. Cass. 26 maggio 2010, n. 12882.
Cfr. Cass. 2 marzo 2012, n. 3291.
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nota2

Cfr. Cass. 2 marzo 2012, n. 3291.
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nota3

In tal senso, cfr. circolare Agenzia delle Entrate 17 dicembre 2013, n. 35/E.
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