Riqualificazione del contratto



nota1 Parte della dottrina ha individuato nell’art. 20, D.P.R. n. 131/1986 (imposta di registro) (secondo cui “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”) una disposizione (considerata quale norma generale antielusiva) che consente di assicurare la prevalenza degli effetti economici sulle forme civilistiche dei contratti nota2.

Ma la norma citata, ben lungi dal riqualificare il contratto in base alla sostanza economica dell’operazione, si limita ad imporre l’interpretazione del contratto in base alla sua sostanza ed agli effetti e non al titolo (nomen iuris) ed alla forma (cfr. anche 1362 cod. civ.). Ad esempio, se un contratto è a prestazioni corrispettive è irrilevante che le parti abbiano utilizzato il nome e lo schema negoziale del comodato nota3.

La riqualificazione dei contratti a fini antielusivi, facendo prevalere la sostanza economica e giuridica sulla forma, è lecita, quindi, solo se l’interpretazione è effettuata nei limiti e con le regole dettate in materia di interpretazione dei contratti (art. 1362 e ss. cod. civ.).

In senso opposto altra dottrina esclude che tra le norme imperative rientrino anche le leggi fiscali anche per la ragione che dal contratto in frode alla legge fiscale non deriverebbe la nullità del contratto, ma il generale potere dell’Amministrazione finanziaria di riqualificare i contratti per convertirli in altri assoggettati a tassazione più vantaggiosa per il Fisco, indipendentemente dagli ordinari criteri interpretativi e dal dato testuale riferibile alla volontà delle parti nota4.

In tal modo, oltre a confondere la fattispecie del contratto in frode con quella della simulazione ex art. 1414, comma 2, cod. civ., viene offerta una soluzione inquietante. Infatti, se così fosse, qualsiasi scelta contrattuale sarebbe contestabile dal Fisco sol perché lo stesso risultato economico perseguito dalle parti poteva essere raggiunto mediante contratti più vantaggiosi per l’Erario nota5.

In una recente pronunzia la Corte ha riqualificato come conferimento in società (s.r.l.) quel che in realtà è un contratto di cessione alla società stessa del diritto di sfruttamento dell’immagine dell’artista a fronte di un corrispettivo annuale di un minimo garantito di 100.000 euro. Dalla motivazione della sentenza appare del tutto infondata ed errata la riqualificazione del contratto che ha, tuttavia, consentito il rinvio al Tribunale affinché accerti la rilevanza penale dell’abuso del diritto per violazione di una tassativa disposizione antielusiva (art. 37-bis, comma 3, lett. b), D.P.R. n. 600/1973 relativa ai conferimenti) nota6. Non ha avuto fortuna invece la prospettazione in chiave di cessione di azienda di plurime cessioni di quote di società (cfr. Cass. Civ., Sez. V, sent. n. 34941 del 13 dicembre 2023).

Note

nota1

Il Fisco, in passato (ma vedi ora per un revirement C.M. 30 novembre 2000, n. 218/E), aveva spesso riqualificato il contratto di lease back come contratto di mutuo (con violazione del divieto del patto commissorio ex art. 2744 cod. civ.; contra la giurisprudenza ne ha costantemente affermato la legittimità, cfr. Cass. 20 luglio 2000, n. 9944). Non vi è dubbio che il Fisco possa sindacare la congruità dei costi dell’impresa, essendovi al riguardo le norme che disciplinano il valore normale dei beni e servizi. Ma in tal caso non si pone una questione di elusione, ma di adeguatezza di un costo ex artt. 9 e 109, D.P.R. n. 917/1986. Diversa è la questione che riguarda i limiti del sindacato del Fisco sul criterio di inerenza dei costi dell’impresa, cioè se l’inerenza debba essere valutata esclusivamente sotto un profilo qualitativo oppure se siano possibili anche valutazioni quantitative (di congruità). Secondo la Corte non è possibile sindacare scelte imprenditoriali facendo riferimento “… alla disciplina dell’inerenza, in quanto in essa rileva, ai fini impositivi, tendenzialmente il profilo della ?qualità? del costo, piuttosto che quello della ?quantità', proprio perché l’ordinamento riconosce all’imprenditore la libertà di impostare la sua strategia d’impresa. Il costo, infatti, è inerente se serve a produrre ricavi: una volta accettata questa qualità del costo, risulta difficile dire in quale misura esso è deducibile o meno, a meno che non vi sia un’indicazione normativa specifica, che ponga un tetto alle spese: non sussistente allo stato attuale della legislazione...” (Cass. 10 dicembre 2010, n. 24957). Ne consegue che il requisito dell’inerenza sussiste per ogni costo astrattamente idoneo a portare benefici, anche indiretti, all’attività dell’impresa, quali i costi ed oneri sostenuti in proiezione futura, per esempio, come nella fattispecie, le spese per riorganizzazione aziendale. Infatti “… con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l’inerenza all’attività di impresa delle singole spese e dei costi affrontati va interpretata come una relazione tra due concetti - la spesa (o il costo) e l’impresa - che implica un accostamento concettuale fra due circostanze, con la conseguenza che il costo (o la spesa) assume rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili” (Cass. 21 gennaio 2009, n. 1465).
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nota2

Per un esame della norma, vedi P. Tabellini, L’elusione fiscale, Milano, 1988, p. 162; V. Uckmar, voce Imposta di Registro, in Noviss. Dig. it., Utet, Torino, 1986, p. 540; S. Cipollina, La legge civile e la legge fiscale, Cedam, Padova, 1992, p. 102.
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nota3

Cfr. F. Tesauro, Novità e problemi nella disciplina dell’imposta di registro, in Riv. dir. fin., 1975, p. 103, ove afferma che se gli atti sono più ed obbediscono ad un unico programma negoziale, quello che va preso in considerazione è il più vasto disegno in cui il singolo negozio può essere situato.
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nota4

Cfr. L. Carraro, voce Frode alla legge, cit.
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nota5

Cfr. A. Voglino, Brevi osservazioni in tema di imposizione a margine di negozi simulati, in Boll. trib., 1994, p. 487; R. Lupi, A proposito di inerenza... il fisco può entrare nel merito delle scelte imprenditoriali?, in Riv. dir. trib., 1993, II, 940. Sulla figura del negozio simulato, cfr. N. Pollari, Spunti in tema di elusione fiscale, cit., p. 78; P. Pacitto, Attività negoziale, evasione ed elusione tributaria: spunti problematici, in Riv. dir. fin., 1987, p. 732.
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nota6

Cfr. Cass. 3 maggio 2013, n. 19100, in Riv. dir. trib., n. 4/2013.
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