Come accennato, l’elusione tributaria si manifesta attraverso l’abuso del diritto
nota1 ovvero l’abuso di forme giuridiche per eludere una norma fiscale e conseguire un risparmio illecito d’imposta.
Sebbene nel sistema tributario nazionale non esista una norma generale antielusiva (è solo prevista una norma settoriale antielusiva, art. 37-
bis, D.P.R. n. 600/1973), la giurisprudenza di legittimità ha “costruito” un principio generale antielusivo per contrastare tutte le operazioni poste in essere mediante il supposto abuso di norme giuridiche.
Il divieto di abuso del diritto è divenuto, quindi, un
principio generale antielusivo che preclude il conseguimento di vantaggi fiscali mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.
Per i tributi armonizzati (IVA, ecc.) la regola generale antielusiva viene fatta discendere dall’ordinamento comunitario, mentre per i tributi
non armonizzati (imposte sui redditi), tale principio trova fondamento nei principi costituzionali di
capacità contributiva e di
progressività dell’imposizione (art. 53 Cost.) e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali
nota2.
Note
nota1
Il principio dell’abuso del diritto in ambito tributario deve essere applicato con particolare cautela, essendo necessario trovare una giusta linea di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività di impresa, e non di mere operazioni finanziarie (ad esempio dividend washing e dividend stripping), di artificioso frazionamento di contratti o di anomala interposizione di stretti congiunti, ma di ristrutturazioni societarie, soprattutto quando le stesse avvengono nell’ambito di grandi gruppi d’imprese. Non rivestono carattere “abusivo” le operazioni di ristrutturazione aziendale poste in essere da un’impresa al fine di migliorarne struttura e funzionalità, anche se comportano un risparmio di imposta. In particolare l’abuso di diritto non è applicabile quando l’operazione rientra in una normale logica di mercato e vi sia compresenza, non marginale, di ragioni extra fiscali, che non si identificano necessariamente in una redditività immediata dell’operazione ma possono essere anche di natura meramente organizzativa, e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa. Tale è la regola emergente dal sistema sul modello comunitario che prende in considerazione soltanto il contenuto oggettivo dell’operazione a differenza di altri ordinamenti (Cass. 21 gennaio 2011, n. 1372).
top1 nota2
Cfr. Cass., SS.UU., 23 dicembre 2008, n. 30055.
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