Prelazione e trasferimenti della partecipazione sociale a titolo gratuito



Cosa riferire di quella clausola statutaria che preveda il controllo del subingresso di un nuovo socio divenuto tale in esito ad una donazione o per effetto dell'apertura di una successione a causa di morte?

Il parere prevalente al riguardo, nel tempo precedente l'entrata in vigore del riforma, nota1 era nel senso dell'invalidità della clausola (almeno in materia di società per azioni), ogniqualvolta essa si sostanziasse in un divieto assoluto di cessione delle azioni (Tribunale di Vicenza, 25 gennaio 1993 ). Attualmente il testo dell'art. 2355 bis cod. civ. è tale da legittimare, quantomeno per i primi cinque anni a far tempo dalla costituzione della società, l'efficacia di una siffatta disposizione, dal momento che è addirittura praticabile un divieto assoluto di trasferimento.

Più discussa è la soluzione dello stesso problema per quanto attiene alle società a responsabilità limitata. Poiché è possibile che i soci abbiano convenuto un divieto assoluto di alienazione delle quote, ex art. 2469 cod. civ. (già art. 2479 cod. civ. ), devono infatti ritenersi valide ed efficaci sia le disposizioni che proibiscano del tutto i trasferimenti a titolo gratuito, sia, a fortiori, quelle che imponessero comunque un diritto di prelazione (Cass. Civ. Sez. I, 93/89).

Che valenza possiede la prelazione in riferimento alle cessioni a titolo gratuito?

L'attribuzione ai soci del mero diritto di essere preferiti rispetto al cessionario a titolo gratuito è definibile di per sé priva di senso alcuno. La donazione o la disposizione mortis causa si caratterizza infatti per l'essenzialità della designazione del beneficiario, elemento che sarebbe necessariamente contraddetto dall'attribuzione del diritto di prelazione a terzi.
Il problema si intreccia con quello dei patti successori (art. 458 cod. civ.), essendosi deciso che la clausola dello statuto di una società per azioni la quale attribuisca, in caso di morte di uno dei soci, il diritto di opzione sull' acquisto delle azioni cadute in successione a favore degli altri soci sia affetta, per tale motivo, da nullità (Appello di Roma, 06 aprile 1992).

Queste considerazioni possono esser superate, sebbene in diversa prospettiva, conformemente ad un'opinione espressa in dottrina, con l'imposizione ai titolari della prelazione, dell'obbligo di corrispondere al beneficiario della disposizione a titolo gratuito il valore delle partecipazioni, determinato alla stregua di parametri oggettivi nota2. Ciò può esser considerato adeguato anche alla luce delle innovazioni portate dalla riforma (si pensi al modo di disporre dell'art. 2437 cod. civ. ).

In altri termini, nell'ipotesi di mancato esercizio della facoltà prevista dalla clausola in esame, si produrrebbero definitivamente gli effetti dell'atto traslativo a titolo gratuito a favore del terzo beneficiario, nel caso di esercizio della facoltà, si perverrebbe a dar vita ad una cessione onerosa agli altri soci, sia pure controbilanciata dall'attribuzione all'originario beneficiario del valore
della partecipazione.

In un certo senso possono essere assimilati ad un trasferimento a titolo gratuito anche le alienazioni delle azioni o delle quote che vengono effettuate in assenza di corrispettivo nell'ambito degli accordi tra fiduciante e fiduciario. Si pensi alla retrocessione della partecipazione che quest'ultimo effettui nei confronti del primo. E' stato al riguardo deciso nel senso dell'inoperatività della clausola di prelazione, nella fattispecie difettando un sostanziale mutamento della compagine sociale (Cass. Civ. Sez.I, 10121/07).

Note

nota1

Ascarelli, Sui limiti statutari alla circolazione delle partecipazioni azionarie, in Banca, borsa e titoli di credito, 1953, vol. I, p. 307; Ferrara Jr.-Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 1987, p. 433.
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nota2

Cfr. sul punto Alessi, Alcune riflessioni intorno alla clausola di prelazione in Riv. dir. comm., 1987, p. 55. L'A. ipotizza l'imposizione, ai titolari della relazione dell'obbligo di corrispondere al beneficiario della disposizione a titolo gratuito, il prezzo delle partecipazioni. In giurisprudenza si veda Cass. Civ. Sez. I, 3345/10.
La clausola, impropriamente definibile come di prelazione per il caso di successione mortis causa, dovrebbe prevedere (allo scopo di sottrarsi a censure a cagione della possibile contrarietà rispetto al divieto di cui all'art. 458 cod. civ.) necessariamente un meccanismo di reintegrazione in capo ai successibili del valore delle quote nell'eventualità dell'esercizio del diritto conferito ai soci superstiti. Altrimenti la previsione si risolverebbe in un patto di concentrazione, vietato ai sensi dell'art. 458 cod. civ.: in questo senso si è pronunciato il Supremo Collegio (Cass. Civ. Sez. I, 1434/75) sia pure con riferimento al caso di una società in accomandita semplice, cui è applicabile l'art. 2322 cod. civ. .
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Bibliografia

  • ALESSI, Alcune riflessioni intorno alla clausola di prelazione, Riv.dir.comm., 1987
  • ASCARELLI, Sui limiti statutari alla circolazione delle partecipazioni azionarie, Banca, borsa, titoli di credito, I, 1953
  • FERRARA-CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 1987

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