Analogamente a quanto stabilito in materia di concordato, alla cui disciplina il legislatore si è ampiamente rifatto, la l. n. 3/2012 prevede che l’accordo possa essere impugnato con le azioni di risoluzione ed annullamento. L’annullamento può essere pronunciato soltanto quando è stato dolosamente aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo ovvero dolosamente simulate attività inesistenti. Non è ammessa alcuna altra azione di annullamento (art. 14). L’annullamento dell’accordo non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede, con la conseguenza che rimangono fermi gli atti di disposizione dei beni che siano stati compiuti in esecuzione dell’accordo, salvo che si provi la mala fede del terzo acquirente. L’azione spetta ad ogni creditore, in contraddittorio con il debitore, nelle forme del procedimento camerale disciplinato dagli artt. 737 ss. c.p.c. La competenza è del tribunale in composizione monocratica. Poiché non è ripetuta la disposizione che, in tema di omologazione, prevede la competenza per il reclamo del tribunale in composizione collegiale, è da ritenere che debba trovare applicazione l’art. 739 c.p.c. e che pertanto il reclamo sia rimesso alla competenza della corte d’appello.
Anche la risoluzione può essere chiesta soltanto dai creditori, nelle ipotesi tassative previste dall’art. 14, cioè se il proponente non adempie regolarmente alle obbligazioni derivanti dall’accordo, se le garanzie promesse non vengono costituite o se l’esecuzione dell’accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore. L’azione è ammissibile entro il termine di un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dall’accordo. Il legislatore ha qui ripreso, in parte, la disciplina della risoluzione dettata dall’art. 137 l. fall. per il concordato fallimentare.
Non è stata tuttavia ripetuta la norma, dettata dall’art. 186 l. fall. in tema di concordato preventivo, che esclude la possibilità di chiedere la risoluzione quando l’inadempimento ha scarsa importanza. Di conseguenza nella procedura in esame come nel concordato fallimentare è sufficiente che il debitore «non adempia regolarmente le obbligazioni derivanti dall’accordo». Quindi sia la mancanza, sia l’inesattezza dell’adempimento, e dunque una qualunque violazione delle condizioni previste per il pagamento dei creditori, potrà determinare la risoluzione. È invece nuova, rispetto alla disciplina del concordato, la risoluzione quando l’esecuzione dell’accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, mutuata da un consolidato orientamento giurisprudenziale, maturato soprattutto con riferimento al concordato con cessione dei beni. Anche la risoluzione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede. Il procedimento segue il rito camerale (art. 14, co. 5) ed il tribunale giudica in composizione monocratica.
Ai creditori estranei è riservata la diversa azione prevista dall’art. 12, co. 4. Essi possono chiedere, sempre nelle forme del procedimento camerale di cui agli artt. 737 ss., l’accertamento del mancato pagamento, cui seguono il venir meno del divieto di azioni esecutive e degli altri effetti protettivi del patrimonio del debitore, senza che venga meno l’efficacia dell’accordo per i creditori che vi hanno prestato adesione. Tale tutela produrrà peraltro scarsi effetti ove l’accordo omologato dal tribunale preveda la moratoria sino all’anno per il pagamento dei creditori estranei, perché costoro non potranno dolersi del mancato pagamento prima che sia decorso il termine. Tale termine, infatti, deve essere fatto decorrere dalla sentenza di omologazione, in forza della quale, soltanto, l’accordo ed il piano possono produrre effetti nei confronti di questi creditori.
Ai sensi dell’art. 11, co. 5, l’accordo è revocato di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.
Un’ulteriore ipotesi di risoluzione di diritto è prevista dall’art. 12, ult. co., che stabilisce che la sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore, a qualunque titolo egli sia stato dichiarato fallito, risolve l’accordo.
2.4 Gli organismi di composizione della crisi.
L’art. 15 della legge stabilisce che gli enti pubblici possono costituire organismi per la composizione delle crisi da sovraindebitamento (OCC) con adeguate garanzie di indipendenza e professionalità. Gli organismi di conciliazione costituiti presso le camere di commercio, il segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari, costituito dalle Regioni ai sensi dell’art. 22, co. 4, lett. a), della l. 8.11.2000, n. 328, gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai possono operare come OCC. Tutti questi organismi sono iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia, a semplice domanda nel caso degli organismi sopra citati. Con apposito regolamento il Ministro della giustizia stabilisce i requisiti, i criteri e le modalità di iscrizione nel registro e disciplina la formazione dell’elenco e la sua revisione, l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi, a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura.
Dalla costituzione degli OCC non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, e le loro attività vanno svolte nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Tale previsione non lascia molto sperare in termini di professionalità ed efficienza.
Gli OCC, insieme alla domanda di iscrizione nel registro, depositano presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di procedura e comunicano successivamente le eventuali variazioni (art. 16).
L’art. 20 con norma transitoria stabilisce che i compiti e le funzioni attribuiti agli OCC possono essere svolti anche da un professionista in possesso dei requisiti per la nomina a curatore fallimentare previsti dall’art. 28 l. fall., ovvero da un notaio, nominati dal presidente del tribunale o dal giudice da lui delegato. Con uno o più decreti, il Ministro della giustizia stabilisce, anche per circondario di tribunale, la data a decorrere dalla quale i compiti e le funzioni che la legge attribuisce agli OCC costituiti da enti pubblici, sono svolti in via esclusiva dai medesimi.