La condizione nel testamento



Ai sensi dell'art. 633 cod.civ. le disposizioni a titolo universale o particolare possono farsi sotto condizione sospensiva o risolutiva nota1. Da questo punto di vista la dinamica della fattispecie condizionale si può dire del tutto affine a quella generale.

Un limite si rinviene invero soltanto con riferimento alla posizione dei legittimari. L'art. 549 cod.civ. infatti fa espresso divieto al testatore di imporre pesi o condizioni relativamente alla porzione legittima, vale a dire alla quota che spetta per legge ai riservatari. Ne deriva che l'ambito di apponibilità della condizione non può che avere come riferimento la porzione disponibile (tanto se ne disponga a titolo di legato, quanto a titolo di istituzione d'erede).

Come deve essere inteso il requisito della futurità? Secondo un'opinione nota2 essa dovrebbe rapportarsi al tempo dell'apertura della successione. Poichè il testamento assume efficacia solamente in esito alla morte del disponente sarebbe soltanto a partire da tale accadimento che l'evento potrebbe validamente prodursi. Così intendendo la futurità dell'evento, si reputa che la maggior parte delle disposizioni sottoposte a condizione sarebbe messa a repentaglio: è infatti chiaro che quando il testatore redige le proprie ultime volontà non può sapere se l'evento condizionale si sarà o meno verificato nel periodo intercorrente tra il perfezionamento del testamento e quello della propria morte. Nè appare logico sostanzialmente imporre al testatore di nuovamente procedere alla redazione del testamento in tutti i casi in cui l'incertezza oggettiva sia venuta meno (in quanto appunto l'evento siasi prodotto o sia certo che più non si produrrà). E' pertanto sembrato più congruo ritenere che per il negozio testamentario valga la stessa regola propria dell'ambito contrattuale: che cioè la futurità deve essere tale in relazione al momento del perfezionamento dell'atto nota3. A riprova della bontà di questa impostazione viene menzionato il caso della clausola che subordini il lascito al fatto che il beneficiario abbia tenuto una determinata condotta fino al momento della morte del testatore (cfr. in tal senso .Cass. Civ., Sez. II, 28272/2018). Qualora la futurità dovesse essere intesa come riguardante eventi che devono intervenire soltanto dopo la morte del disponente la detta disposizione non dovrebbe essere considerata ammissibile.

Ad onor del vero proprio l'esempio fatto manifesta l'inadeguatezza della tesi prevalente, la quale tuttavia non conduce ad apprezzare quella contraria, esposta per prima. Pare piuttosto che il problema sia stato mal impostato: perchè infatti non fare riferimento alla nozione di presupposto volontario di efficacia? Se con tale espressione designiamo quell'accadimento che può essere variamente coinvolto nel meccanismo di subordinazione degli effetti della disposizione e che evoca un accadimento la cui incertezza è soltanto soggettiva, allora ogni perplessità è fugata: nel negozio testamentario appare pienamente ammissibile che venga dedotta sia una clausola condizionale, qualificata dalle caratteristiche che sono ad essa proprie, sia presupposti volontari, in relazione ai quali non si pone alcuna questione di pendenza nè di aspettativa. Ritorniamo all'esemplificazione di cui sopra: quando il disponente viene meno non si dà alcuna fase di pendenza in senso tecnico. Si tratta solamente di accertare se il beneficiario abbia tenuto o meno la condotta alla quale il testatore aveva subordinato l'efficacia del lascito. Nell'ipotesi in cui la risposta sia affermativa il beneficiario sarà considerato erede fin dal tempo dell'apertura della successione, in caso contrario non lo sarà mai stato.

Chiarito questo aspetto, è possibile riferire che anche in tema di negozio testamentario si danno le ordinarie distinzioni afferenti alle varie specie di condizione: si parla così di condizione potestativa, casuale e mista nota4. L'eventuale condizione meramente potestativa sospensiva (nomino mio erede universale Tizio se lo vorrò) con tutta evidenza non introduce una disposizione valida. Manca infatti una manifestazione di volontà seria ed effettiva, risolvendosi in un semplice rinvio ad un intento futuro. Questi argomenti non valgono a precludere, al contrario, la validità e l'efficacia della condizione meramente potestativa risolutiva (nomino mio erede universale Tizio fino a quando lo vorrò). Essa infatti non è altro se non l'estrinsecazione della consapevolezza da parte del testatore della possibilità di revocare la disposizione testamentaria, ciò che corrisponde ai principi generali.

E' infine possibile fare menzione della differenza tra condizione positiva (o affermativa) e negativa, a seconda che gli effetti vengano subordinati alla verificazione di un determinato accadimento positivo ovvero alla constatazione della mancata produzione di un certo evento.

Note

nota1

La norma rinviene il proprio antecedente nel previgente art. 848 del codice civile del 1865, sia pure meglio precisando che la condizione può essere sospensiva oppure risolutiva. L'espressa menzione elimina in radice la questione relativa all'eventuale impossibilità di eliminare retroattivamente la qualità di erede che fosse stata precedentemente acquisita in virtù degli effetti propri della condizione risolutiva, reputata incompatibile con il principio semel heres semper heres.
Al proposito, già in tempi risalenti si osservava come fosse proprio la retroattività del modo di operare della condizione ad eliminare il problema: colui la cui delazione veniva eliminata per effetto della verificazione dell'evento dedotto sotto la condizione risolutiva viene infatti considerato come non avesse mai rivestito la qualità di successore a titolo universale. L'operatività di siffatto meccanismo fornisce una risposta appagante anche all'ulteriore questione sollevata in ordine alla pretesa contrarietà al divieto della sostituzione fedecommissaria. Non è dato di scorgere infatti alcun ordine successivo: non v'è un soggetto istituito che debba conservare per restituire ad un ulteriore soggetto. Si dà semplicemente un soggetto la cui qualità di erede viene eliminata a far tempo dall'apertura della successione con il contestuale subingresso, sempre da questo momento di altro soggetto, da considerare erede ab origine (cfr. Caramazza, Delle successioni testamentarie, in Comm. teorico-pratico, dir. da De Martino, Novara-Roma, 1982, p.254).
Certo è che la verificazione dell'evento dedotto sotto condizione risolutiva quando abbia a prodursi a distanza di molto tempo dall'apertura della successione, può porre problemi difficilmente immaginabili anche dallo stesso testatore. Così è capitato che la eliminazione retroattiva della delazione a favore di un Ente oltre un secolo dopo l'apertura della successione, abbia comportato la impossibilità di attribuire i beni agli eredi legittimi (pure contemplati nel testamento) a causa del fatto che costoro, ormai di grado ulteriore rispetto al sesto, non erano nè nati nè concepiti al tempo (Cass. Civ. Sez. II, ord. 28221/2023).
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nota2

Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol.VI, Milano, 1962, p.190 e Bigliazzi Geri, Il testamento, in Tratt.dir.priv., dir. da Rescigno, vol.VI, Torino, 1982, p.129.
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nota3

Giannattasio, Delle successioni. Successioni testamentarie, in Comm.cod.civ., Libro II, Torino, 1978, p.201; Caramazza, cit., p.257.
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nota4

E' appena il caso di rammentare che si ha condizione potestativa ogniqualvolta la disposizione testamentaria viene subordinata al verificarsi di un evento dipendente dalla volontà del beneficiato. Nomino erede universale Tizio a condizione che assuma la residenza in Milano. La condizione è invece casuale quando il lascito è subordinato alla verificazione di un evento che non dipende dalla volontà del beneficiato, ciò che accade quando esso dipende dal caso ("lego a Primo l'appartamento in Milano se non avverranno attentati terroristici in tale città ") ovvero anche dal fatto del terzo ("lego a Primo l'appartamento in Milano se Secondo lascerà la città"). Al riguardo occorre tuttavia precisare che l'accadimento dedotto sotto il meccanismo condizionale nonpuò concretarsi nella mera volontà di un terzo che venga ad influire in modo diretto sulla disposizione testamentaria (nomino erede Primo se Secondo così vorrà). Ricorre nell'ipotesi il rinvio all'arbitrio del terzo che induce la nullità di cui all'art. 631 cod.civ.. Infine la condizione è mista quando l'evento può dirsi dipendente soltanto in parte dalla volontà di un soggetto (l'onerato ovvero un terzo) ed in parte dal caso.
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Bibliografia

  • BIGLIAZZI GERI, Il testamento, Torino, Trattato Rescigno, VI, 1982
  • CARAMAZZA, Delle successioni testamentarie, artt. 587-712, Roma, Comm. teor-prat. del c.c, dir. da De Martino, 1973
  • GIANNATTASIO, Delle successioni, successioni testamentarie, Torino, Comm.cod.civ., II, 1978

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