In materia di redazione del testamento pubblico sia il codice civile sia la legge notarile prevedono l'adozione di speciali formalità, soprattutto in relazione alle minorazioni che possono affliggere il testatore (sordità, mutismo, sordomutismo, cecità).
Il
sordo deve leggere l'atto: di ciò si deve fare menzione nell'atto (I comma art.
56 , l.n.). E' evidente che non avrebbe alcun senso la lettura del rogito da parte del notaio, ciò che ordinariamente risulta essenziale (e sufficiente) per le parti dotate del senso dell'udito.
Se il
sordo è altresì incapace di leggere, occorre che l'atto sia tradotto da un interprete a tal fine nominato dall'organo giudiziario competente. Costui giurerà, innanzi al notaio prima di adempiere al proprio compito, di rendere intelleggibile al minorato quanto viene detto, ed al notaio ed alle altre parti quanto la parte ritiene di dover loro comunicare (II comma art.
56 l.n. ). I testimoni dovranno essere in numero di quattro (non due come ordinariamente: cfr. ult. comma art.
603 cod.civ. ).
Sia il
muto sia il sordo (espressione che sostituisce la precedente "sordomuto" per effetto dell'art.
1 della Legge 95/2006) devono essere assistiti da interprete (il quale viene nominato e giura anteriormente allo svolgimento del proprio compito come prima specificato). Qualora muto e sordomuto sappiano leggere e scrivere essi dovranno leggere di persona l'intero atto, successivamente scrivendo di proprio pugno in calce al testo e prima delle sottoscrizioni finali che essi medesimi hanno letto l'atto riconoscendolo conforme alla propria volontà (I e II comma art.
57 l.n. ). Al contrario, se
muto o sordo non sanno o non possono leggere e scrivere vi sarà l'occorrenza di due interpreti a meno che uno dei testimoni abbia la possibilità di intendere il linguaggio a segni o a gesti del testatore: in questa ipotesi basterà un interprete soltanto (III comma art.
57 l.n. ). Nell'ipotesi in cui il
muto o il sordo non sappiano leggere, il numero dei testimoni deve essere incrementato a quattro (ultimo comma art.
603 cod.civ. ).
I riflessi della minorazione consistente nella
cecità non rinvengono disciplina né nell'ambito delle norme del codice civile né in quello della legge notarile. A questo proposito esiste apposita legge che prevede provvedimenti a favore dei ciechi (L. 3 febbraio 1975, n.
18 ).
Quanto all'assistenza dei testimoni si farà pertanto applicazione della regola generale di cui al II comma dell'art.
603 cod.civ., in base alla quale il testamento viene ricevuto dal notaio con l'assistenza di due testimoni. E' evidente che sono salve le altre regole che disciplinano i casi in cui ricorrano le ulteriori menomazioni che possono eventualmente cumularsi alla cecità. Al testamento del
cieco-sordo o del cieco sarà dunque necessario l'intervento di quattro testimoni poiché i predetti non potranno non essere incapaci di leggere (ultimo comma art.
603 cod.civ. ).
In forza delle disposizioni di cui alla riferita l. 3 febbraio 1975, n.
18 il cieco che sa sottoscrivere potrà farsi aiutare da un teste di parte (art.
3 della legge cit.). La figura del teste di parte (assistente) non deve essere confusa con quella del testimone che interviene a qualsiasi atto pubblico ex art.
48 l.n. . Il teste di cui alla legge speciale è una persona di fiducia del cieco, la cui partecipazione all'atto è funzionale alla sua tutela ed ausilio.
Qualora il cieco non possa (= non sia in grado) apporre la firma, sarà sufficiente che la sottoscrizione intervenga con l'apposizione di un mero segno di croce. Se neppure così il cieco può sottoscrivere, di ciò è fatta menzione nel testamento mediante la formula "impossibilitato a sottoscrivere". In questi ultimi due casi sarà indispensabile l'intervento di due testi-assistenti (art.
4 legge cit.).
4. Occorre fare attenzione alla condizione del non vedente. Infatti essa non è sufficiente per concludere circa l'incapacità di costui a sottoscrivere l'atto. Quale efficacia ha la dichiarazione della parte di non essere in grado di firmare resa al notaio che abbia a menzionarla nel testamento? Se tale menzione fa indubbiamente piena prova circa l'intervenuta dichiarazione del non vedente, essa tuttavia non vale a garantirne la rispondenza al vero. Quando fosse provato che, in effetti, tale dichiarazione non fosse veritiera (in quanto si dia prova del fatto che il cieco in effetti era ben in grado di sottoscrivere), ne scaturirebbe la nullità del testamento per mancanza di sottoscrizione dello stesso (Cass. Civ., Sez. II,
8346/2014).