RISPETTO AI TERZI
L'atto negoziale produce, di regola, i suoi effetti soltanto tra le parti (c.d.
principio di relatività degli effetti contrattuali). Già le fonti romane escludevano per il terzo la produzione di effetti direttamente scaturenti dal contratto (
alteri stipulari nemo potest).
Il principio secondo cui
res inter alios acta tertio neque nocet neque prodest, corrisponde all'icastica affermazione secondo la quale l'atto non è in grado né di danneggiare né di giovare al terzo, come tale estraneo alle vicende negoziali (II° comma art.
1372 cod.civ.). In effetti il rigore di questo principio è stato sempre relativo, poichè vi sono atti negoziali i quali, per la funzione stessa che sono deputati a svolgere, non possono che riguardare soggetti diversi dal disponente.Si pensi al testamento, nel quale si rinvengono atti di disposizione quali l'istituzione d'erede ed il legato, negozi di liberalità in forza dei quali vengono attribuiti cespiti attivi ai beneficiati
nota1 .
Quale effetto sortisce l'istituzione d'erede e il legato?
A dire il vero si tratta di disposizioni non omogenee: la prima infatti si concreta nel mettere a disposizione del chiamato una situazione complessa (l'eredità) della quale possono far parte elementi attivi e passivi (fino al punto che le passività prevalgano rispetto alle attività o anche costituiscano gli unici elementi dell'eredità: c.d.
hereditas damnosa). La seconda (il legato) invece importa sempre un contenuto positivo, l'attribuzione di uno o più cespiti (attivi) determinati.
La concreta operatività dell'istituzione d'erede postula inoltre la necessaria
accettazione del chiamato (art.
459 cod.civ.). Il legato invece
si acquisisce senza bisogno di accettazione alcuna (art.
649 cod.civ.)
, salva la possibilità di rinunzia (la quale più propriamente è configurabile come un rifiuto che fa venir meno retroattivamente gli effetti di un acquisto già intervenuto). In ambedue i casi pertanto è escluso che il soggetto destinatario degli effetti della disposizione debba subirli contro la propria volontà.
E' in questo contesto che deve essere valutato il modo di disporre di cui al II° comma dell'art.
1372 cod.civ.. La norma infatti, dopo aver posto in luce che il contratto non produce effetto rispetto ai terzi, si affretta a porre l'eccezione dei casi previsti dalla legge. E' il caso di osservare che nella nozione di parte non devono comunque intendersi compresi soltanto coloro che hanno perfezionato l'accordo, bensì anche gli aventi causa da costoro, tutte le volte in cui l'effetto dell'accordo stesso non può dirsi esaurito. Si pensi all'erede di chi sia obbligato a vendere un immobile, che viene ad assumere la veste di promittente alienante.
Tornando all'efficacia (diretta) di cui al II° comma dell'art.
1372 cod.civ. essa per il terzo non può che essere favorevole: il soggetto che non prende parte all'atto giammai può subirne un pregiudizio (diretto)
nota2 .
La fattispecie più rilevante a questo proposito è costituita dalla
stipulazione a favore del terzo (art.
1411 cod.civ. ) in virtù della quale due parti si accordano onde attribuire un diritto ad un altro soggetto (il terzo) che non entra nel congegno negoziale. Il diritto viene immediatamente acquistato dal terzo, il quale tuttavia piò respingerlo (rifiuto), eliminando retroattivamente gli effetti acquisitivi già verificatisi.
Ancora una volta è dato constatare che la produzione degli effetti, ancorchè favorevoli per il terzo, non si verifica mai contro la sua volontà.
E' invece escluso, giova ribadirlo, che il contratto o comunque l'atto negoziale, possa sortire effetti negativi o sfavorevoli per il terzo (ad eccezione delle ipotesi di esercizio di
diritti potestativi, in rapporto ai quali il soggetto si trovi in una situazione di soggezione (spesso tuttavia in considerazione della propria posizione di parte di una precedente stipulazione). Viene a tal proposito in questione la qualità di parte o di terzo di chi vi sia soggetto: se si può osservare che l'atto di esercizio del diritto possiede una struttura unilaterale,
deve anche riferirsi che esso si situa all'interno di un più vasto rapporto nel quale solitamente chi si trova nella posizione di soggezione riveste la qualità di parte.
Il
divieto di alienazione contenuto in un contratto (c.d.
pactum de non alienando) possiede effetti meramente interni, obbligatori (art.
1379 cod.civ.). Non può dunque in alcun modo pregiudicare i terzi, che pertanto acquisterebbero validamente
nota3 .
Il terzo infine non è per nulla vincolato dalla
promessa che viene fatta da altri circa la sua condotta (es.: Tizio si impegna con Caio a convincere Sempronio a vendergli un mobile di pregio). L'art.
1381 cod.civ. prevede a questo proposito che la promessa dell'obbligazione o del fatto di un terzo ha quale effetto unicamente quello di obbligare il promittente a indennizzare l'altro contraente dei danni subiti per aver confidato nella promessa medesima.
Note
nota1
Cfr.Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, Milano, 1990, p.26.
top1nota2
In questo senso Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997, p.237 e Bianca, Diritto civile, vol.III, Milano, 2000, p.566. Gli A. sottolineano come deve essere riconosciuto al terzo anche un diritto di rifiutare l'effetto a lui favorevole .
top2nota3
Bocchini, Limitazioni convenzionali del potere di disposizione, Napoli, 1977, p.56.
top3Bibliografia
- BOCCHINI, Limitazioni convenzionali del potere di disposizione, Napoli, 1977
- PADOVINI, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, Milano, 1990
- SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002