Ai sensi dell'ultimo comma dell'art.
2388 cod.civ. , l'annullamento della delibera non determina di per sé l'invalidità dell'atto posto essere in esecuzione della delibera consiliare invalida, almeno nei confronti dei terzi in buona fede i cui diritti sono in ogni caso salvaguardati.
Ne segue che la società, potrà chiedere l'annullamento di un eventuale negozio concluso con un soggetto terzo solo dopo che sia stata riconosciuta l'invalidità della delibera consiliare che rappresenta il presupposto di tale negozio e fornendo altresì l'ulteriore prova della mala fede del terzo, da identificarsi con la conoscenza, da parte di quest'ultimo, della causa di invalidità. Poiché tuttavia non è sempre agevole dare la dimostrazione della mala fede del terzo, ed anzi spesso si tratta di una vera e propria
probatio diabolica, il legislatore della riforma, operando in materia di impugnazione di delibere consiliari un espresso rinvio all'art.
2378 cod.civ., acconsente di applicare anche a queste ultime l'istituto della sospensione della loro efficacia.
In assenza di espressa previsione in tal senso nel codice antecedente la riforma, sebbene anche prima si ritenesse ammissibile la sospensione (Tribunale di Milano, 16 luglio
1999 ;
contra, Tribunale di Milano, 23 marzo
2002 ; Tribunale di Como, 11 febbraio
1999 . ), v'è chi è stato spinto a definire il rimedio di cui al previgente art.
2388 cod.civ. "un'arma tanto rumorosa quanto spuntata, poiché l'annullamento della delibera non potrebbe mai travolgere automaticamente gli atti negoziali compiuti con i terzi in esecuzione della stessa, essendo a tal fine sempre necessaria un'autonoma e successiva iniziativa, promossa dalla società e, tramite gli organi a ciò legittimati, diretta ad opporre al terzo l'inefficacia del negozio"
nota1.
nota1
V. Pinto,
Impugnabilità delle delibere a carattere gestorio del consiglio di amministrazione di società per azioni: "cui prodest"?, nota a Tribunale di Como, 11 febbraio
1999 , in Giur. Comm., 2001, p.154.
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