Cass. civile del 1995 numero 9066 (29/08/1995)


La deliberazione dell' assemblea straordinaria di una società di capitali, con cui viene aumentato il capitale sociale ed alcune delle quote dell' aumento vengono liberate mercè conferimento di beni immobili, non produce automaticamente effetto modificativo dell' atto costitutivo e non assume efficacia neanche nei rapporti tra soci e società, se non a seguito dell' omologazione da parte del tribunale, la quale ha lo scopo di assicurare, nell' interesse dei soci e dei terzi, il rispetto della legalità formale e sostanziale degli atti sociali maggiormente rilevanti, non solo di realizzarne la pubblicità verso i terzi. Pertanto, nel caso in cui venga rifiutata l' omologazione dell' indicata delibera e sopravvenga il fallimento della società, gli immobili oggetto del conferimento non possono ricomprendersi nell' attivo fallimentare, senza che assuma rilievo la trascrizione della delibera - effettuata in pendenza della procedura di omologazione e prima dell' instaurazione di quella fallimentare -, essendo anche la trascrizione condizionata alla richiamata omologazione (condizione che avrebbe dovuto risultare dalla nota di trascrizione).La Corte (omissis).Con il primo motivo, i ricorrenti - denunziando violazione e falsa applicazione «dei principi generali in ordine alla causa dei negozi giuridici, violazione e falsa applicazione degli artt. 2325, 2330, 2130 rectius: 2330 bis, 2457 bis, codice civile, ed in generale dei principi sugli effetti dell' omologazione degli atti societari sottoposti a trascrizione» - censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto che, non ostante il rifiuto dell' omologazione, la delibera di aumento del capitale e lo stesso conferimento degli immobili avessero conseguito il loro effetto e che la società avesse quindi acquisito e conservato la proprietà di tali beni.La doglianza è fondata.La Corte territoriale muove dal convincimento che (non solo l' iscrizione, ma) la stessa omologazione non incida minimamente sull' efficacia della delibera di modifica dell' atto costitutivo. Pertanto - al di fuori dei casi specificamente previsti dalla legge (artt. 2420 ter, 2445, secondo comma, 2498, 2504 bis, codice civile), nei quali all' iscrizione nel registro delle imprese viene espressamente attribuito valore costitutivo - la modifica sarebbe operante, nei confronti della società e dei soci, fin dal momento in cui la delibera stessa viene adottata e, rispetto ai terzi, solo a partire dall' iscrizione nel registro delle imprese, salvo che non si provi che essi ne siano a conoscenza (art. 2193, codice civile). Di qui la conclusione che, pur essendo mancata nel caso di specie l' omologazione, la delibera assembleare (alla quale erano intervenuti anche i nuovi soci, che avevano sottoscritto integralmente l' aumento del capitale) avrebbe ugualmente conservato la propria efficacia.Tale tesi non appare però condivisibile, come esattamente è stato rilevato dai ricorrenti.Può anzitutto rilevarsi che, rispetto all' aumento (a pagamento) del capitale sociale, l' effetto modificativo dell' atto costitutivo non è automaticamente prodotto dalla delibera della società, essendo a tal fine necessario il concorso della volontà dei sottoscrittori, tanto è vero che il legislatore si è premurato di precisare che, fino a quando non viene depositata presso il registro delle imprese l' attestazione che l' intero capitale è stato sottoscritto, non può farsi menzione del suo aumento negli atti della società (art. 2444, codice civile). Proprio per questo si afferma che, in tal caso, la deliberazione si presenta come una proposta contrattuale (per l' esattezza, come una offerta al pubblico) e che le singole sottoscrizioni equivalgono ad altrettante dichiarazioni di accettazione della proposta.E' pertanto evidente che, quanto meno in questo caso, sarebbe certamente errato ricollegare l' effetto modificativo unicamente alla delibera sociale, e cioè alla volontà della società manifestata in assemblea.Ma la tesi è errata per altre e più assorbenti considerazioni, le quali valgono a togliere ogni rilievo all' eventuale sottoscrizione del capitale che sia nel frattempo intervenuta.Invero, l' omologazione giudiziaria in tema di società di capitali, introdotta con il codice di commercio del 1882 in sostituzione dell' autorizzazione governativa prevista dalla legislazione anteriore (art. 156, codice di commercio del 1865), è prevista al fine di assicurare, nell' interesse dei soci e dei terzi, il rispetto della legalità, formale e sostanziale, di alcuni atti ritenuti di particolare rilevanza. La sua ragion d' essere, pertanto, non può essere vista solo in funzione della pubblicità, che ha (solo) lo scopo di render nota una determinata situazione giuridica a persone diverse da quelle che hanno posto in essere o che sono i destinatari immediati del fatto che ha costituito quella situazione, poiché a questa si provvede mediante l' iscrizione nel registro delle imprese (e, per quanto concerne, le società di capitali anche mediante la pubblicazione nel B.U.S.A.R.L.) che, di per sé, non presuppone alcun riscontro preventivo della legittimità dell' atto da pubblicare (art. 2189).L' efficacia dell' omologazione non può quindi essere desunta da quella dell' iscrizione nel registro delle imprese per inferirne che, quando questa (come nel caso previsto dall' art. 2346, codice civile) ha efficacia dichiarativa, l' incidenza della prima sull' atto sottoposto a controllo non sarebbe diversa. Anche perché ritenere che l' atto per il quale è prevista l' omologazione possa essere efficace anche quando il riscontro della sua legittimità abbia avuto esito negativo, non solo contrasta con l' intento del legislatore (Rel., par. 992), ma equivale a negare ogni rilievo giuridico a tale forma di controllo, che pure è stata ritenuta necessaria proprio perché si è ritenuto che «assai sovente i soci possono essere tentati a violare la legge e non sempre la tema di incontrare una grave responsabilità può essere un freno bastante».E non può non riconoscersi che le ragioni di tutela dell' interesse alla legalità dell' azione della società, che stanno alla base del giudizio di omologazione dell' atto costitutivo, sono presenti anche in sede di modifica di tale atto, come si rilevò già nel corso dei lavori preparatori del codice di commercio del 1882, quando si suggerì che il controllo giudiziario, introdotto in sostituzione di quello governativo, inizialmente previsto solo per l' atto costitutivo delle società per azioni e delle società anonime (Progetto preliminare, art. 92), fosse esteso ad «ogni cambiamento introdotto nelle disposizioni dell' atto costitutivo», che conseguentemente non avrebbero dovuto «avere effetto legale» se non in quanto ne fosse stata ordinata dal Tribunale «l' iscrizione nel registro»; suggerimento che fu poi raccolto dal legislatore e portò all' inserimento, nel testo definitivo approvato dal Senato, di una disposizione (art. 96) specificamente rivolta alle modifiche dell' atto costitutivo.Né, infine, può sostenersi che, se l' omologazione viene negata, la modifica conserva la propria efficacia solo nei rapporti tra soci e società, in quanto la modificazione, specie quando abbia ad oggetto un elemento come il capitale, non può non operare al tempo stesso sia all' interno che all' esterno della società.Le premesse da cui muove la sentenza impugnata e le conclusioni cui la stessa è pervenuta sono quindi certamente errate: il motivo di gravame, come si è già anticipato, deve essere quindi accolto.Non meno fondato è il secondo motivo, con il quale i ricorrenti denunziano violazione e falsa interpretazione «dei principi dell' affidamento e della condizione del contratto (artt. 1353 ss., codice civile) e della trascrizione (artt. 2643 ss., codice civile)», censurando la sentenza impugnata per non aver considerato che la trascrizione era condizionata alla omologazione della delibera di aumento e che, pertanto, fino a quando quest' ultima non fosse intervenuta, era inidonea a fondare una legittima aspettativa dei terzi circa l' appartenenza dei beni alla società.Invero, una volta chiarito che l' efficacia della delibera era (sospensivamente o, quanto meno, risolutivamente) condizionata all' omologazione, appare evidente che la sua trascrizione avrebbe dovuto far menzione della condizione (art. 2659, secondo comma, codice civile) e che l' eventuale omissione di tale formalità non avrebbe reso l' acquisto definitivo, posto che, nel caso di specie, la condizione non era posta a tutela di un interesse particolare delle parti, ma si configurava come un vero e proprio limite dell' autonomia privata, la cui salvaguardia - come è stato esattamente notato - non poteva quindi dipendere dall' osservanza di un onere da parte di soggetti che di quell' interesse non avevano il potere di disporre.Il ricorso deve essere quindi integralmente accolto e l' impugnata sentenza cassata con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d' appello di Firenze, che si atterrà ai principi puntualizzati (...), provvedendo, inoltre, alla liquidazione delle spese della presente fase.(omissis).

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