134 - Rilevanza delle astensioni e derogabilità dei quorum assembleari nelle srl


Massima

17 settembre 2013

E' legittimo prevedere nello statuto di una srl che nel calcolo del quorum deliberativo dell'assemblea non si tenga conto delle astensioni volontarie, fatti salvi i casi in cui la legge prescriva quorum deliberativi minimi inderogabili rapportati ad aliquote del capitale sociale.

Motivazione

L'art. 2479-bis nel fissare i quorum costitutivi e deliberativi dell'assemblea dei soci fa salva la diversa previsione statutaria, il che lascia intendere che essi siano liberamente derogabili sia verso l'alto che verso il basso, coerentemente con la natura piuttosto elastica della struttura organizzativa delle s.r.l. e con la tendenziale maggior partecipazione dei soci alla vita sociale che rende meno avvertita l'esigenza di dettare norme cogenti in materia di quorum a tutela della cd. "istanza partecipativa".

Ciò ha determinato maggiore incertezza rispetto a quanto avvenuto per le s.p.a. negli orientamenti emersi dopo la riforma delle società di capitali del 2003 circa il valore da attribuire all'astensione, tanto da indurre parte della dottrina a consigliare di farne oggetto di specifica regolamentazione negli statuti sociali.

Il legislatore non ha inoltre replicato la disposizione contenuta dall'art. 2368, comma 3, circa la non computabilità nel quorum deliberativo degli astenuti per conflitto di interessi, tuttavia, la necessità di consentire l'adozione di determinate deliberazioni, anche in presenza della fisiologica astensione per conflitto di interessi della maggioranza dei soci, può ragionevolmente far ritenere, così come sostenuto dalla prevalente dottrina dopo la riforma, che il principio sia di carattere generale e dunque non influenzato dal diverso tipo sociale.

Per quanto concerne invece l'astensione volontaria, sembra avere una certa prevalenza l'opinione (fondata sulle medesime considerazioni di carattere sistematico ricordate in materia di s.p.a.) per la quale anche nelle s.r.l. è preferibile computare gli astenuti per cause diverse dal conflitto d'interessi nel quorum deliberativo; l'autonomia statutaria, peraltro, appare qui più libera di modulare il funzionamento dell'organo assembleare sulla base degli interessi espressi dalla singola compagine sociale, anche in relazione al valore dell'astensione. L'assenza di limitazioni sulla riducibilità dei quorum consente pertanto di fissare liberamente, con specifica disposizione statutaria, il valore da attribuire all'astensione volontaria, escludendola dal calcolo del quorum deliberativo.

Analogamente a quanto concluso in materia di s.p.a., si dovranno fare salve le fattispecie in cui disposizioni di legge prevedano quorum deliberativi minimi inderogabili rapportati ad aliquote del capitale sociale (ad esempio l'art. 34, comma 6, del D.Lgs. 5/2003 che prescrive il quorum deliberativo di almeno i due terzi del capitale sociale per l'introduzione o soppressione di clausole compromissorie).

Nota Bibliografica

Prima dell'entrata in vigore della riforma del diritto societario, nel silenzio del legislatore sul punto, anche in materia di società a responsabilità limitata si poneva per gli operatori del diritto il problema di stabilire se nel computo del quorum deliberativo andasse considerata la quota appartenente al socio astenuto (oltre che, sempre nel silenzio della legge, la quota appartenente al socio moroso ed in conflitto di interessi).

Il terzo comma dell'art. 2479-bis c.c., nell'attuale formulazione, tace ancora sul punto limitandosi a fare salva, nella regolamentazione dei quorum costitutivo e deliberativo, una diversa previsione statutaria. Il legislatore non ha inoltre riprodotto nella disciplina della società a responsabilità limitata la disposizione contenuta dall'art. 2368, comma 3, c.c. circa la non computabilità nel quorum deliberativo degli astenuti per conflitto di interessi.

La prevalente dottrina ha comunque ritenuto che detto principio sia di carattere generale e dunque possa essere applicato per analogia anche alle società a responsabilità limitata (in tal senso si veda F. Magliulo, Le maggioranze, in Aa.Vv. La riforma della società a responsabilità limitata, Ipsoa, Milano, 2008, p. 376-377).

Per quanto concerne invece l'astensione volontaria, sembra prevalere la tesi (fondata sulle medesime considerazioni esposte nella nota bibliografica alla massima in materia di rilevanza delle astensioni e derogabilità dei quorum assembleari nella società per azioni) per la quale anche nelle s.r.l. è preferibile computare gli astenuti per cause diverse dal conflitto d'interessi nel quorum deliberativo (in tal senso si veda F. Magliulo, op.cit., p. 377; R. Rosapepe, Commento art. 2479-bis c.c., in M. Sandulli e V. Santoro (a cura di), La riforma delle società , Giappichelli, Torino, 2003, vol. 3, p. 178; contra, però, si è espresso G. Sandrelli, Commento all'art. 2479-bis c.c., in P. Marchetti et al. (diretto da), Commentario alla riforma delle società. Società a responsabilità limitata, Egea-Giuffrè, Milano, 2008, p. 1020-1023, secondo cui alla conclusione di computare i voti espressi dagli astenuti nel quorum deliberativo si potrebbe senz'altro pervenire, in presenza di astensioni di carattere strumentale o in funzione "deresponsabilizzante", specie in presenza di compagini sociali ristrette. Negli altri casi, le partecipazioni degli astenuti dovrebbero essere escluse dal computo dei quorum, valorizzando così al meglio, sul piano pratico, la differenza tra l'espressione di un voto negativo e la mancata espressione di un voto).

Anche in materia di società a responsabilità limitata, praticamente nulla è stato scritto in merito alla questione se sia possibile inserire nello statuto una clausola che preveda che nel calcolo dei quorum dell'assemblea non si tenga conto dei voti espressi dai soci astenuti. La circostanza che l'art. 2479-bis c.c. consenta all'autonomia statutaria di prevedere una diversa regolamentazione dei quorum, lasciandola di fatto libera di plasmare il funzionamento dell'organo assembleare sulla base degli specifici interessi dei soci, ha comunque indotto la dottrina a ritenere - fatte salve naturalmente le fattispecie in cui disposizioni di legge prevedano quorum deliberativi minimi inderogabili rapportati ad aliquote del capitale sociale - che gli stessi siano liberamente derogabili sia verso l'alto che verso il basso (si vedano in tal senso N. Abriani, Decisioni dei soci. Amministrazione e controlli, in Aa. Vv., Diritto delle società. Manuale breve, Milano, Giuffrè, 2006, p. 300, che osserva come l'illimitata riserva di ogni diversa previsione lascia all'autonomia contrattuale i più ampi spazi d'intervento; F. Fico, B. Gori, L'assemblea nelle società di capitali, Pirola - Sole24Ore, 2003, p. 36-44; G. Sandrelli, op.cit., p. 1021, secondo cui l'affermazione della piena derogabilità di tutti i quozienti stabiliti dal comma 3 dell'art. 2479-bis c.c. non discende soltanto dalla chiara lettera della norma, ma costituisce anche elemento di continuità con la disciplina abrogata, che già ammetteva variazione dei quorum tanto in aumento quanto in diminuzione. Pertanto, secondo l'autore, di là del necessario rispetto del principio maggioritario in fase deliberativa, non sussistono oggi altri limiti a una piena modulazione statutaria dei quozienti).

Più specificamente, non sembra che un limite alla derogabilità in aumento dei quozienti possa essere ravvisato nella presenza dell'art. 2369, comma 4, c.c. - che nelle società per azioni impedisce l'aumento dei quorum per l'approvazione del bilancio e per la nomina e revoca delle cariche sociali - in quanto la ratio di tale norma è assai lontana dall'ordinamento delle società a responsabilità limitata, che sono piuttosto caratterizzate per natura dalla tendenziale maggior partecipazione dei soci alla vita sociale, la quale rende meno stringente l'esigenza di dettare norme cogenti in materia di quorum a tutela della cd. istanza partecipativa. [Nota bibliografica a cura di C. Clerici]

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