Tutela del diritto al nome. (Cass. Civ., Sez. I, sent. n. 8955 del 4 aprile 2024)

Il diritto al nome è, per definizione, personalissimo, sicché il singolo può ben chiederne tutela, in via ordinaria, senza che debbano, coevamente, chiedere la medesima tutela i suoi congiunti, portatori del medesimo cognome. Come tale, il diritto alla cognomizzazione e la tutela di questo diritto sono riservati a tutti coloro che discendono dal comune avo, cui è stato riconosciuto il titolo nobiliare e ciascuno di loro può chiaramente agire singolarmente con un giudizio ordinario di cognizione.

Commento

(di Daniele Minussi)
La S.C. ha accolto il ricorso di una antica famiglia calabrese che aveva domandato di integrare nel cognome il nome del feudo di cui erano diventati marchesi nel 1703, per grazia di Filippo V di Borbone. Viene in considerazione il c.d. “predicato nobiliare” che può costituire parte integrante del cognome. La Cassazione in ogni caso stabilisce che gli altri discendenti della famiglia non hanno “voce in capitolo” nel giudizio promosso dal loro congiunto.
La natura personalissima del diritto al nome importa che il singolo possa chiederne tutela, in via ordinaria, senza che debbano, coevamente, chiedere la medesima tutela i suoi congiunti, portatori del medesimo cognome. “Come tale - secondo la pronunzia -, il diritto alla cognomizzazione e la tutela di questo diritto sono riservati a tutti coloro che discendono dal comune avo, cui è stato riconosciuto il titolo nobiliare e ciascuno di loro può chiaramente agire singolarmente con un giudizio ordinario di cognizione”. Ciascuno di loro, conseguentemente, “se lo desidera e se ve ne sono i presupposti”, previsti dalla XIV disposizione transitoria della Costituzione (“I titoli nobiliari non sono riconosciuti. I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922, valgono come parte del nome”), è dunque libero di agire in giudizio.

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