Testamento pubblico e prova dell'incapacità naturale del testatore. (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 2702 del 30 gennaio 2019)

In tema di testamento pubblico, lo stato di sanità mentale del testatore, seppure ritenuto e dichiarato dal notaio per la mancanza di segni apparenti di incapacità del testatore medesimo, può essere contestato con ogni mezzo di prova, senza necessità di proporre querela di falso, poiché, ai sensi dell'art. 2700 c.c., l'atto pubblico fa piena prova delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ma nei limiti della sola attività materiale, immediatamente e direttamente richiesta, percepita e constatata dallo stesso pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni.

Commento

(di Daniele Minussi)
Appare di tutta evidenza come la forza legale privilegiata che conduce alla piena prova (che, come tale, può essere fatta venir meno soltanto all'esito del vittorioso esperimento della querela di falso) non riguarda lo stato di piena capacità di intendere e di volere del testatore, elemento che non può certo essere attestato dal notaio. Costui non è un medico e, se indubbiamente ha il dovere di astenersi dalla stipula nel caso in cui sussistano dubbi circa la capacità naturale della parte, non può, inversamente, non ha competenza in ordine all'accertamento del predetto stato di capacità. La pronunzia in esame fa altresì il punto sulla distinzione tra mera invalidità dell'atto a cagione dell'incapacità naturale del disponente e perfezionamento della fattispecie delittuosa di cui all'art. 643 cod.pen. (circonvenzione di incapace) per la quale occorre anche un'induzione all'atto di disposizione e un approfittamento dello stato di minorata capacità.

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