Cessione d'azienda, determinazione del prezzo. Possibilità di conferire rilevanza ad un valore negativo dell’avviamento. (Cass. Civ., Sez. V, sent. n. 979 del 17 gennaio 2018)

Nella determinazione del valore venale dell'azienda trasferita ai fini dell'imposta di registro l'avviamento - in quanto qualità aziendale intrinseca richiamata dall'art. 51 del D.P.R. n. 131/86 - rileva non solo se positivo ma anche se negativo; ed abbia, in quanto tale, determinato la pattuizione tra le parti di un prezzo di cessione inferiore al valore patrimoniale netto dei cespiti aziendali, perché scontato in ragione della fondata previsione di perdite future e dei solo successivo recupero di redditività dell'azienda stessa.

Commento

(di Daniele Minussi)
Se è vero che l'avviamento valorizza la capacità dell'azienda di fare utili, ciò che dovrebbe fisiologicamente caratterizzare una realtà sana, cosa riferire nell'ipotesi in cui la conduzione dell'attività imprenditoriale generi perdite? Come è noto il calcolo del valore dell'avviamento si avvale di metodologie svariate, tutte comunque protese alla corretta identificazione della valorizzazione di un bene immateriale, quale per l'appunto è la capacità di produrre utili. Così spesso si assumono consolidati solo quegli utili che si siano ripetuti per un lasso cronologico sufficientemente prolungato da farli ritenere "consolidati" (usualmente tre esercizi consecutivi). Il valore dell'avviamento, così determinato, viene a costituire un elemento patrimoniale che, come tale, si somma agli altri cespiti che compongono l'azienda ai fini della determinazione del prezzo di cessione della stessa. Ma cosa dire quando la gestione imprenditoriale è in costante perdita? Seguendo gli stessi criteri, l'avviamento, in detta ipotesi, può essere considerato negativo, traducendosi in una sottrazione di valore economico da riconoscere, con una rilevanza anche fiscale, in sede di vendita del compendio aziendale.

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