Tribunale di Vercelli del 1992 (19/11/1992)


La clausola di consolidazione, senza attribuzioni agli eredi del socio defunto o con liquidazione della sola quota di capitale, e' nulla per contrarieta' al divieto di pattuizione tontinarie, salvo che emergano particolari ragioni che giustifichino l' accrescimento o non sussista un divario eccessivo tra il valore della quota di capitale e quello della quota di patrimonio.La liquidazione della quota a favore degli eredi del socio defunto deve essere effettuata in relazione al valore effettivo dei beni, e quindi anche dell' eventuale avviamento.(omissis)Sulla nullita' delle clausole di consolidazione per contrarieta' al divieto in materia di assicurazioni private.Tra i possibili motivi di nullita' delle clausole di consolidazione (e di tutto l' art. 10 dei patti sociali) indicati dall' attore, oltre all' invalidita' delle medesime perche' simulate, di cui si e' appena trattato, il Tribunale ritiene di poter individuare come altrettanto decisivo quello che si riferisce alla contrarieta' delle clausole di consolidazione al divieto espresso dal T.U. in materia di assicurazioni private.L' art. 3 del D.P.R. 13 febbraio 1959, n. 449, infatti, cosi' recita: «Sono vietate nel territorio della Repubblica le operazioni di assicurazione sulla vita a premio naturale e le associazioni tontinarie o di ripartizione».Va precisato, a questo punto, che tontina e' l' operazione finanziaria, considerata come la prima forma di assicurazione sulla vita, per mezzo della quale piu' soci, mettendo insieme un capitale fruttifero, si assicuravano una rendita vitalizia che, una volta defunto un socio, veniva suddivisa tra i rimasti in vita (dal nome del banchiere napoletano Lorenzo Tonti, che ne fu l' ideatore nel 1653).Ovvero: forma di assicurazione in cui piu' persone si associano mettendo in comune un fondo destinato ad essere diviso tra i sopravviventi con gli interessi accumulati.Il divieto di cui all' art. 3, D.P.R. 13 febbraio 1959 n. 449, ad avviso del Collegio, e' espressione di un piu' generale principio di ordine pubblico, sotteso alla norma citata, secondo il quale ai privati e' inibita ogni pattuazione tontinaria, che implichi una scommessa sulla premorienza, al di fuori delle ordinarie forme di assicurazione sulla vita e del normale sistema assicurativo (che, tra l' altro, e' appannaggio esclusivo, per legge, delle s.p.a.), principio di cui si deve ritenere espressione anche la norma (da considerarsi eccezionale) di cui all' art. 1919 c.c. in materia di assicurazione sulla vita propria o di un terzo, la quale presuppone il divieto generale di ogni mera assicurazione per il caso di morte del terzo, che debordi a mera scommessa.La clausola sociale di consolidazione che prevede l' accrescimento a vantaggio dei soci superstiti della quota di patrimonio spettante al socio premorto (pura: cioe' senza attribuzione per gli eredi, o) anche con liquidazione del valore della quota di capitale sociale ai suoi eredi, non puo' non essere considerata come un tipico caso di ripartizione tontinaria (espressamente vietata nell' ordinamento austriaco): la sottrazione agli eredi di quella parte del patrimonio che sarebbe ricompresa di diritto nella liquidazione della quota evidenzia il vantaggio «tontinario» della pattuizione.Il patto di consolidazione finisce, cioe', per essere una mera scommessa sulla premorienza dei soci, con accrescimento a favore dei superstiti della quota di patrimonio gia' del socio defunto, che comprende, come vantaggio, anche la porzione di quota di patrimonio che sarebbe spettata ai suoi eredi, vale a dire che e' un vero e proprio patto tontinario, come tale da ritenersi proibito per le ragioni di ordine pubblico gia' enunciate.Non tutte le clausole di consolidazione, ovviamente, si devono considerare nulle perche' ricadenti sotto il divieto di cui sopra, potendo anche essere espressione, da valutarsi di volta in volta, della natura dispositiva della norma di cui all' art. 2289, 2° comma.Tali clausole, infatti, possono ritenersi valide soltanto qualora emergano particolari ragioni che giustifichino l' accrescimento a favore dei soci (o del socio) superstiti e in danno degli eredi del socio (o dei soci) premorti, e nei casi in cui la differenza tra il valore della quota di capitale (spettante agli eredi del socio premorto) e quello della quota di patrimonio (che si accresce ai soci superstiti) non sia esageratamente marcata.Nel caso di specie il patto di consolidazione appare avere natura di mera scommessa, non emergendo dallo stesso particolari ragioni di meritevolezza (quale ad es. potrebbe essere quella di non conteggiare nella liquidazione della quota il valore dell' avviamento sociale perche' correlato a momenti storici di mercato troppo mutevoli), e risultando la differenza tra il valore del capitale e quello del patrimonio tale da creare un esagerato squilibrio tra i diversi interessati (come dimostra anche la persistente conflittualita' tra le parti, che sono in causa tra di loro sin dal 1978) (vedi anche agli atti la nota spese del procuratore dell' attore, in cui e' indicato il valore attuale della quota del 50% di patrimonio della societa', asseritamente spettantele, che ammonterebbe a circa lire 995.000.000, a fronte di una quota di capitale sociale che nel 1974 era di lire 5.000.000).Le clausole di cui all' art. 10 dei patti sociali vanno, peraltro, dichiarate nulle nella loro interezza, perche' - nel caso di specie - si traducono sostanzialmente in un patto tontinario vietato.(omissis).

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