Tribunale di Treviso del 2013 (19/05/2014)



La ratio dell’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. alle clausole risolutive espresse contenute nei contratti di leasing è solo quella di evitare l’ingiustificato pregiudizio che si verificherebbe per l’utilizzatore ove fosse consentito al concedente di ottenere un arricchimento indebito ed eccessivo, cumulando la somma di canoni incassati e da incassare al valore residuo del bene; ciò poteva verificarsi in presenza delle vecchie clausole in uso sino a qualche anno fa nella prassi commerciale (c.d. scaduto+scadere+bene).

Il recente arresto della S. C. (Cass. Civ. sez. III, 888/2014) non afferma la nullità anche della diversa clausola c.d. scaduto+scadere-bene (che prevede per la concedente l’obbligo di riallocare il bene accreditandone all’utilizzatrice il ricavato), ma si limita a stigmatizzare la mancanza di termini prestabiliti e precisi per la riallocazione del bene, ponendo a carico del giudice di rinvio l’onere di valutare in concreto se la penale sia manifestamente eccessiva.

Eccessività che, nel caso di specie, va esclusa: da un lato la concedente ha limitato la propria domanda alla differenza tra credito vantato in forza della clausola penale e presumibile valore di realizzo del bene (sicché va esclusa ogni possibilità di locupletazione da parte sua), dall’altro non è stata allegata dall’utilizzatrice nessuna doglianza circa un eventuale comportamento negligente della concedente successivo alla restituzione del bene.

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