Permuta e fallimento



Stante il rinvio operato dall'art. 1555 cod.civ., risulta pienamente applicabile alla permuta la normativa prevista dalla legge fallimentare per la vendita, sia pure tenuto conto del fatto che nella permuta le parti pongono in essere un'attribuzione traslativa reciproca che non consente di distinguere tra un compratore ed un venditore.

Ai sensi del IV comma dell'art. 72 bis l.f., in caso di fallimento del venditore, se la cosa data in vendita è già passata in proprietà dell'altra parte, il contratto non si scioglie. Qualora, al contrario, il trasferimento del diritto non abbia avuto luogo, il curatore ha la scelta fra l'esecuzione e lo scioglimento del contratto ai sensi dell'art.72 l.f.. Cosa implica l'adattamento di questa regola alla permuta? Al proposito giova osservare la natura disomogenea delle posizioni delle parti nel contratto di compravendita. Mentre il venditore pone in essere un'attribuzione traslativa che si esplica in funzione del semplice raggiungimento del consenso negoziale, l'acquirente invece è tenuto al pagamento del prezzo, ciò che integra una prestazione dedotta nell'ambito di una vera e propria obbligazione. Nella permuta nulla di tutto ciò: entrambe le posizioni delle parti consistono in un'attribuzione traslativa che si produce in virtù del consenso (art. 1376 cod.civ. ).

La prima parte del cit. IV comma dell'art. 72 bis l.f. , laddove afferma che il contratto non si scioglie qualora la cosa venduta sia stata già trasferita all'acquirente, importerebbe, ove applicata alla permuta, che entrambi i permutanti rimanessero proprietari dei beni reciprocamente ceduti. Palese appare tuttavia che questa soluzione non sia di nessun appagamento per la curatela: nel caso della vendita infatti l'ultima parte del predetto IV comma importa che, ogniqualvolta il venditore non sia già stato soddisfatto, il relativo credito subisca la falcidia fallimentare. Per la permuta invece è intrinseco alla natura stessa della negoziazione che l'efficacia traslativa del consenso valga a far passare in capo a ciascun permutante il diritto ceduto.

La questione del fallimento di uno dei permutanti potrebbe invero presentarsi in tutti i casi in cui una delle attribuzioni permutative consistesse nel trasferimento di una cosa non ancora esistente (ovvero di proprietà di altri soggetti al tempo del contratto, o ancora di una cosa genericamente determinata). Si tratta di quelle ipotesi tradizionalmente ricondotte alla permuta obbligatoria, in quanto erroneamente dedotte sotto lo schema primario del rapporto obbligatorio. E' stato così affermato che il permutante non fallito che avesse trasferito e consegnato il proprio bene (in attesa della venuta ad esistenza del bene da ricevere, dell'individuazione dello stesso, etc.) potrebbe al più insinuarsi al passivo per l'equivalente pecuniarionota1. Questa tesi è tuttavia confutabile sol che si consideri che la permuta avente ad oggetto un bene futuro, generico od altrui in effetti può essere definita pur sempre ad effetti reali, ancorchè differiti. La questione sarà approfondita in tema di disamina della figura della permuta di cosa presente contro cosa futura. Non si può in questo senso concordare con l'opinione nota2 secondo la quale il diritto di chi ha trasferito la cosa esistente contro quella futura si convertirebbe in un diritto di credito di importo corrispondente a quello del valore della cosa che non è venuta ad esistenza. Una volta che venga meno una delle attribuzioni traslative dedotte nel sinallagma contrattuale non può infatti non venir meno l'intero contratto per difetto ad un tempo della causa e dell'oggetto.

Note

nota1

Bianca, La vendita e la permuta, in Tratt. dir.civ.it., diretto da Vassalli, vol.VII, Torino, 1972, p.1039.
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nota2

Cagnasso, La permuta, in Tratt. dir.priv., diretto da Rescigno, vol.XI, Torino, 1984, p.388.
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Bibliografia

  • BIANCA, La vendita e la permuta, Torino, Tratt. dir. civ. dir. da Vassalli, vol. VII- t. 1-2, 1993
  • CAGNASSO, La permuta, Torino, Tratt.dir.priv.dir.da Rescigno, XI, 1984

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