Notevoli problemi teorici pone l'art.
533 cod.civ. nell'individuare i soggetti legittimati passivamente in ordine all'azione di petizione dell'eredità. Al riguardo la norma afferma espressamente che l'erede può domandare il riconoscimento di questa sua qualità "contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari a titolo di erede o senza alcun titolo".
Le ipotesi sembrano essenzialmente ridursi a due: quella che concerne il possessore pro herede e quella che si riferisce al possessore pro possessore, sfornito cioè di un titolo in grado di fondare il possesso nota1.
Quanto al primo caso, è qualificabile come possessore
pro herede colui che possiede i beni ereditari allegando una qualità ereditaria insussistente, correlativamente negandola all'erede vero. La figura presenta un punto di collegamento con il tema dell'erede apparente, pur non essendovi dentificazione tra l'una e l'altra. E' infatti possibile che il possessore
pro herede possa presentarsi in maniera tale da ingenerare nella collettività l'opinione erronea della qualità ereditaria e che questa condizione sia fonte della formazione di una volontà individuale di un soggetto che in buona fede viene ad acquistare un diritto dal detto possessore (
art.534 cod.civ.). Tuttavia il possessore
pro herede ben potrebbe presentarsi in modo riconoscibilmente non adeguato alla qualità ereditaria di cui è sprovvisto. In ogni caso egli è dotato della legittimazione passiva in ordine all'azione in esame. Si aggiunga che, all'inverso, l'apparenza dell'erede non postula il possesso dei beni ereditari.
Cosa accade nel caso in cui il convenuto si disfi del possesso dei beni ereditari in corso di causa? Secondo la prevalente opinione
nota2, facendo applicazione dell'analogo principio dettato in tema di azione di rivendicazione (cfr. I comma art.
948 cod.civ.), l'azione potrebbe essere proseguita contro l'originario possessore, il quale, in caso di condanna, dovrà recuperare i beni a proprie spese o, in difetto, corrisponderne il valore e risarcendo il danno conseguente.
Quanto al secondo (cioè al possessore senza titolo) potrebbe essere definito come colui che non è in grado di vantare alcun titolo giustificativo del proprio possesso, limitandosi al puro dato fattuale consistente nell'allegazione della situazione possessoria (
possideo quia possideo).
Il significato da attribuire alla locuzione "senza titolo alcuno" è controversa tra gli interpreti. Secondo un'opinione, il riferimento al "titolo" varrebbe ad escludere il riferimento ad alcune situazioni possessorie
nota3. Sulla scorta del fatto che il possesso non può che corrispondere ad una situazione riconducibile ad un diritto reale e che, dunque, un possesso senza titolo non può che costituire la violazione di un diritto avente tale consistenza, viene esclusa la legittimazione passiva nelle ipotesi che seguono:
a) per chi abbia iniziato a possedere nel tempo che precede la morte del
de cuius, senza peraltro allegare di essere erede;
b) per chi sia entrato nel possesso dei beni, già posseduti dal
de cuius, al tempo della morte di costui, ma non
jure hereditario; c) infine per chi abbia iniziato a possedere i beni già posseduti dal
de cuius, non tuttavia in conseguenza dell'evento morte.
Il titolo del possesso dunque varrebbe ad identificare la condotta del convenuto come erede, pur senza che essa venisse esplicitata con l'espresso riferimento ad una corrispondente modalità acquisitiva. A parere di altri invece con la locuzione "titolo" in effetti si riferirebbe alla "causa
adcquirendi " che il convenuto allega in giudizio allo scopo di giustificare la situazione possessoria
nota4.
In questo senso si è reputato di dover tracciare il discrimine tra petitio hereditatis e reivindicatio anche nell'atteggiamento del convenuto possessore. Qualora quest'ultimo, a fronte del reclamo da parte del primo della restituzione dei beni non già come elementi appartenenti all'asse ereditario, bensì nella loro individualità, contestasse la qualità di erede dell'attore, senza mettere in gioco la qualità di proprietario del de cuius, si ricadrebbe comunque nella petitio (Cass.Civ. Sez. II,
2290/1980).
Appare al proposito plausibile che la legge si sia intesa riferire ad una situazione in cui taluno tenga, in relazione ai beni ereditari, una qualsiasi condotta che integri gli estremi del possesso, senza tuttavia che si alluda all'esistenza di uno specifico titolo acquisitivo di un diritto in grado di supportare la detta condizione possessoria nota5. Cosa dire inoltre della detenzione? Al riguardo viene prospettata la possibilità che l'art.
533 cod.civ. (in analogia rispetto all'art.
948 cod.civ.) sia proponibile anche avverso il mero detentore
nota6.
La questione della legittimazione passiva del mero detentore pare invero mal posta. Si faccia il caso di Tizio che riferisce di essere comodatario di un bene
per averlo ricevuto dal
de cuius (ma la stessa cosa potrebbe dirsi per colui che allegasse di rivestire la qualità di conduttore). Si tratta indubbiamente di detentori. Forse che l'erede può proporre nei confronti di costui la petizione d'eredità? La riposta negativa si impone: basta che egli agisca con un'appropriata azione personale (sfratto per finita locazione, azione di restituzione, etc.). Immaginiamo invece che Tizio, semplice detentore del bene, ad un certo punto decida di mutare la propria detenzione in possesso. Come è noto occorre al proposito un atto di esteriorizzazione di tale intento, nell'ambito del fenomeno qualificabile come mutamento della detenzione in possesso (art.
1141 cod.civ. ). Al di fuori di questa ipotesi non pare possibile proporre l'azione di petizione d'eredità, che si paleserebbe sovrabbondante rispetto al risultato da conseguire. Diversa questione è se la petitio hereditatis sia proponibile
a difesa di una situazione qualificabile come detenzione: si pensi al caso in cui il
de cuius fosse nella disponibilità di un bene a titolo di locazione, titolo inidoneo a fondare il possesso. Quando si trattasse di far valere la detta situazione nei confronti di un possessore senza titolo ben potrebbe essere utilizzato il rimedio in considerazione (Cass.Civ. Sez. II,
954/1986).
In definitiva la
petitio hereditatis riguarda soltanto i casi del possessore
pro herede e del possessore senza titolo, nel senso sopra precisato (Cass. Civ., Sez. II,
123/2019). Essa non può dunque venire proposta in riferimento all'ipotesi in cui un soggetto sostiene di possedere ad altro (specifico) titolo. Si pensi a colui che affermi il possesso per avere acquistato il bene da terzi prima della morte del defunto ovvero dal defunto, per averlo ricevuto da costui (o da terzi) in donazione, in custodia (Cass. Civ., Sez. II,
3181/11) etc.. In questi casi la domanda andrà mutata in una rivendica o in altra azione avente natura reale o personale.
Note
nota1
Disputato tra gli interpreti è se l'azione competa anche nei confronti del debitore dell'eredità. La risalente opinione (Prestipino, Delle successioni in generale, in Comm. teorico-pratico al cod.civ., diretto da De Martino, Novara-Roma, 1981, p.530; Cicu, Successioni per causa di morte, parte generale, Milano, 1954, p.245) favorevole si fonda sulla considerazione in base alla quale, mentre ogniqualvolta il debitore nega il proprio debito, l'attore deve dar conto della sussistenza di questo, se invece il debitore non lo contesta, piuttosto negando la qualità ereditaria dell'attore, l'azione si palesa come avente ad oggetto la prova della qualità d'erede del creditore, ciò che sostanzia la petitio. Nel senso della nominalità della questione, dal momento che dal punto di vista pratico la distinzione non condurrebbe al alcuna conseguenza rilevante, cfr. Capozzi, Successioni e donazioni, t.1, Milano, 2002, p.259.
top1nota2
Azzariti, Le successioni e le donazioni, Padova, 1982, p.188.
top2nota3
Moschella, Autonomia ed universalità della petizione ereditaria, in Riv. Dir. civ., 1970, pp. 318 e 399.
top3nota4
Cicu, op.cit., p.242. La concezione è stata assoggettata a critica da Schlesinger, La petizione di eredità, Torino, 1956, p.64, nella misura in cui fa dipendere la legittimazione passiva dalla prospettazione del convenuto, piuttosto che dal titolo che effettivamente è stato allegato in relazione al tempo in cui venne conseguito il possesso dei beni.
top4nota5
Non rilevano cioè né le circostanze in cui si è verificato il possesso, né le allegazioni effettuate o le cause adquirendi esteriorizzabili all'atto dell'impossessamento dei beni: Conti, La petizione di eredità, in Tratt.dir.priv., diretto da Rescigno, vol.V, Torino, 1984, p.247.
top5nota6
Così Ferri, Successioni in generale, in Comm.cod.civ., a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1980, p.205 e Prestipino, op.cit., p.532.
top6Bibliografia
- AZZARITI, Le successioni e le donazioni: Libro secondo del Codice Civile, Padova, 1982
- CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 2002
- CONTI, La petizione di eredità, Torino, Tratt. dir. priv. dir. da Rescigno, 1984
- FERRI, Successioni in generale. Art.456 - 511, Bologna Roma, Comm.cod.civ. Scialoja Branca, 1980
- MOSCHELLA, Autonomia e universalità della petizione ereditaria, Riv.dir.civ., 1970
- PRESTIPINO, Delle successioni in generale, Novara-Roma, Comm.cod.civ., dir. da De Martino, 1981
- SCHLESINGER, La petizione di eredità, Torino, 1956