La causa del testamento



Assai dibattuta è la configurazione dell'assetto causale del negozio testamentario, la cui natura giuridica negoziale è stata addirittura revocata in dubbio nota1.

Secondo una costruzione teorica nota2 che potrebbe essere definita unitaria, il testamento, in armonia con il tenore letterale del I comma dell'art. 587 cod. civ. , sarebbe connotato da una causa tipica consistente nell'effetto dispositivo delle sostanze del testatore per il tempo successivo alla di lui morte. La disposizione può indifferentemente consistere in una istituzione d'erede ovvero in un legato. In ambedue le ipotesi ciò che conta è l'efficacia di esse, intese ad attribuire le sostanze del de cuius nota3.

Secondo un'altra opinione il testamento non sarebbe altro se non un veicolo, un mezzo, il tramite di disposizioni varie, ciascuna delle quali connotata da una propria autonoma causa nota4.

Così le ultime volontà di un soggetto possono contenere accanto ad un'istituzione di erede un legato, un modo, la divisione operata dal testatore stesso, il riconoscimento di un figlio naturale (atto quest'ultimo neppur dotato di causa, data la natura non negoziale del medesimo). Implicitamente in favore della tesi della natura negoziale la rara giurisprudenza. Si è rilevato come il mero riconoscimento di figlio naturale debba essere affiancato anche da espressioni tali da far intendere che il disponente abbia inteso esprimere una parallela intenzione di regolare la propria successione, altrimenti non potendo l'atto essere qualificato in chiave testamentaria (Cass. Civ., Sez. II, 1993/2016).

In altre parole il testamento costituisce un veicolo connotato da speciali forme idoneo a conferire rilevanza ad una pluralità di atti giuridici negoziali a causa di morte o semplicemente destinati a sortire effetti in esito alla morte del disponente nota5.

Ciascuno di questi atti è di per sé dotato di una propria causa e di una propria sfera di efficacia, salva la possibile influenza dell'uno sull'altro a cagione del collegamento negoziale che li avvinca. La tesi ha l'innegabile pregio di consentire che si concepisca l'eventuale invalidità di una disposizione senza che ciò venga ad inficiare le altre contenute nello stesso testamento.

Esempio tipico di quanto si espone è la relazione che si pone tra istituzione di erede e modo o onere.

In particolare l'inadempimento del modo può condurre alla risoluzione della disposizione a favore del beneficiato, la caducazione di quest'ultima, a propria volta, può comportare l'ambulatorietà del modo, che viene posto a carico di un soggetto diverso rispetto a quello sul quale esso gravava originariamente.

Note

nota1

Cfr. Lipari, Autonomia privata e testamento, in Studi di diritto civile, dir. da Nicolò e Santoro-Passarelli, Milano, 1970, p. 201. L'A. osserva come nel testamento farebbe difetto la corrispondenza tra contenuto dell'atto rispecchiante la volontà del testatore e misura dell'effetto, ciò che vale a qualificare la negozialità. Si pensi al modo di operare nella successione testamentaria dell'istituto della rappresentazione (art. 467 cod. civ. ). La delazione può operare in relazione ad un soggetto del tutto indipendentemente dall'intento del disponente. Il testamento si qualificherebbe come atto giuridico in senso stretto i cui effetti sono interamente disciplinati dalla legge. Si può tuttavia osservare come l'efficacia di regole legali di attribuzione divergenti dalla volontà testamentaria sia del tutto straordinaria e che, comunque, viene a porsi come un rimedio rispetto all'inefficacia della disposizione del testatore ovvero a tutela dei diritti dei legittimari. Per quanto specificamente attiene alla rappresentazione (la quale comunque sarebbe posta fuori gioco da un'eventuale sostituzione ordinaria), è stato osservato come il subentrare dei discendenti "nel luogo e nel grado del loro ascendente", non pare assolutamente contrastare con l'intento del testatore, altrimenti operando le regole dell'accrescimento ovvero della successione ab intestato (costituendo semmai semplici limiti legali all'autonomia privata: Caramazza, Delle successioni testamentarie, in Comm. teorico-pratico, dir. da De Martino, Novara-Roma, 1982, p. 4).
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nota2

L. Bigliazzi Geri, Il testamento, in Tratt.dir. priv., dir. da Rescigno, vol. VI, t. 2, Torino, 1997, pp. 127 e ss..
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nota3

Giorgianni, voce Causa, in Enc. dir., vol. VI, 1960, p. 574. Rilevante, ai fini di riconoscere la dichiarazione, come atto di ultima volontà, l'intento di rendere definitive le disposizioni: cfr. Cass. Civ., Sez. II, 150/2014.
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nota4

Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano, 1947, pp. 374 e ss. e Bin, La diseredazione: contributo allo studio del contenuto del testamento, Torino, 1966, pp. 197 e ss.
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nota5

Betti, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. dir. civ., dir. da Vassalli, Torino, 1950, pp.40 e ss.
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Bibliografia

  • BARASSI, Le successioni per causa di morte, Milano, 1947
  • BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, Tratt. dir. civ. diretto da Vassalli, XV, 1950
  • BIGLIAZZI GERI LINA, Testamento, Torino, Trattato di diritto privato, vol. VI, t. 2, 1982
  • BIN, La diseredazione contributo alla studio del contenuto del testamento , Torino, 1966
  • CARAMAZZA, Delle successioni testamentarie, Novara-Roma, Comm. teor.-prat. cod.civ. dir. De Martino, 1982
  • GIORGIANNI, voce Causa (dir. priv.), Enc. Dir.
  • LIPARI, Autonomia privata e testamento, Milano, Studi di diritto civile, 1970

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