Il nesso di causalità (responsabilità contrattuale)



Il nesso di causalità costituisce il necessario collegamento tra inadempimento (inesatto adempimento, semplice ritardo, inadempimento definitivo) ed il danno.
In tanto si può dire esistente il diritto del creditore al risarcimento del danno, in quanto sussiste questa relazione tra la condotta inadempiente del debitore e il pregiudizio subito dal creditore nota1 (Cass. Civ. Sez. II, 10029/02).
La norma che conferisce giuridica rilevanza alla causalità deve essere identificata nell'art. 1223 cod. civ. , ai sensi del quale viene istituita una connessione tra inadempimento o ritardo del debitore e la perdita o il mancato guadagno del creditore che ne scaturisce quale conseguenza immediata e diretta.
Questa enunciazione di massima, tuttavia, non è utile a discernere quando un danno possa dirsi cagionato da una determinata condotta e quando invece essa si ponga quale mero antecedente, privo di per sé della forza efficiente necessaria per istituire il nesso causale. In via del tutto generica, il problema della causalità si pone tanto nell'ambito del diritto civile (non soltanto in relazione all'inadempimento delle obbligazioni, bensì anche nell'illecito extracontrattuale, operando espressamente l'art. 2056 cod. civ. un rinvio all'art. 1223 cod. civ. ) quanto nel diritto penale.
Quando può dirsi esistente il nesso di causalità?
In proposito sono state elaborate dagli interpreti alcune teorie.
  1. Secondo la tesi della condicio sine qua non, qualsiasi antecedente, eliminando il quale il danno non si sarebbe prodotto, ne costituisce la causa nota2. Pertanto dovrebbe reputarsi esistente il nesso causale tra ritardo e danno nell'ipotesi in cui Tizio, al quale fosse stato consegnato dal sarto l'abito oltre il tempo stabilito, sia giunto in ritardo all'aeroporto e non abbia concluso un lucroso affare con un commerciante che lo attendeva all'estero. E' evidente a quali aberrazioni condurrebbe seguire questa teorica, che non distingue tra il grado di efficienza di tutti gli antecedenti i quali pure si pongono come necessari rispetto all'evento dannoso. Essa darebbe luogo ad un eccessivo allargamento dei casi in cui si ravvisa esistente il collegamento tra inadempimento e danno. Il codice civile, a questo proposito, prescrive all'art. 1223 cod. civ. che il danno debba costituire conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, così manifestando l'insufficienza e l'inidoneità del criterio che pretende di erigere a causa tutti gli eventi antecedenti. Volendo istituire un parallelo con le teorie elaborate dalla scienza penalistica sulla scorta dell'art. 41 cod. pen. si può rammentare, quale correttivo dell'impostazione riferita, la tesi della causa efficiente. Non tutti gli antecedenti logici possono definirsi come causa dell'evento. Posseggono questa attitudine soltanto quelli che di per sé hanno la forza di produrlo (Cass. Civ. Sez. III, 7467/87 ). In una qualche misura il riferimento alle conseguenze immediate e dirette posto dall'art. 1223 cod. civ. sembrerebbe condurre l'interprete ad un criterio sia di prossimità cronologica tra inadempimento e danno, sia di una particolare efficienza causale dell'antecedente.
  2. Secondo la tesi della causa adeguata, un evento può dirsi causato da un antecedente ogniqualvolta esso è ordinariamente idoneo o adeguato a produrlo nota3. Essa vale a temperare l'eccessiva latitudine della teoria della condicio sine qua non, introducendo un criterio di selezione tra tutte le concause che si pongono come logicamente ineliminabili rispetto all'evento. Il problema di fondo della tesi qui in esame è piuttosto di segno opposto. Non è detto che cause classificabili come inadeguate siano per questo motivo da escludersi come agenti eziologici. La regola appare troppo restrittiva. Un antecedente normalmente inadeguato potrebbe comunque in concreto aver da solo prodotto l'evento.
  3. La giurisprudenza appare per lo più orientata nel senso di accogliere la tesi della c.d. regolarità causale. Il danno connesso all'inadempimento si può riferire come causato dalla condotta del debitore quando costituisce l'effetto normale, ordinario di essa nota4. Devono conseguentemente essere eliminati dal novero degli effetti causati dalla condotta del debitore quegli eventi che rappresentano sviluppi eccezionali, al di fuori di qualsiasi logica ordinaria, pur quando rinvengono come antecedente l'inadempimento del debitore. In questo senso esiste un'analogia di fondo tra la tesi della causa adeguata e quella della regolarità causale, della quale, a ben vedere, quest'ultima costituisce una specificazione e precisazione. La prima fa leva sull'agente causale idoneo, adeguato, la seconda sul difetto di straordinarietà dell'evento rispetto alla condotta. Si tratta di verificare se esista una discrepanza tra una causa adeguata ed una causa normalmente idonea a produrre un certo effetto. Seguendo la teorica della regolarità causale si reputano risarcibili non soltanto i danni che costituiscono conseguenza immediata e diretta della condotta (art. 1223 cod. civ. ), ma anche i danni mediati ed indiretti ogniqualvolta essi si presentino come ordinario effetto dell'inadempimento (Cass. Civ. Sez. Lavoro, 3353/86 ) e si pongano come conseguenze prevedibili, secondo il criterio di apprezzamento di una persona di media diligenza (Cass. Civ. Sez. Lavoro, 2009/97 ). A questo punto diviene evidente lo sconfinamento del sindacato sulla causalità nel tema della prevedibilità, la quale non tanto sembrerebbe costituire un elemento di apprezzamento del nesso causale, quanto un criterio di limitazione del danno risarcibile, come tale espressamente evocato dall'art. 1225 cod. civ. nota5.
Seguendo il percorso logico ispirato dal criterio della regolarità causale così descritta, i due piani (quello cioè del sindacato sul nesso causale e quello della prevedibilità intesa come limite al risarcimento del pregiudizio) vengono ad intrecciarsi inestricabilmente, costituendo un tutt'uno (Cass. Civ. Sez. Lavoro, 6761/82 ). Occorre a questo riguardo segnalare che in giurisprudenza, ai fini di valutare la prevedibilità di una determinata conseguenza dannosa, si è talvolta fatto ricorso al concetto di normalità (Cass. Civ. Sez. II, 5778/93 ). Ciò dimostra come in realtà il nodo concettuale sia posto a monte e precisamente nel rapporto che si pone tra danno-evento e danno-conseguenze lesive.
La relazione che si pone tra la condotta del debitore ed il danno-evento evoca il problema del nesso causale, mentre la relazione intercorrente tra detta condotta del debitore ed il danno-conseguenze lesive evidenzia, a propria volta, un chiaro problema di selezione delle istanze risarcitorie che viene vagliato attraverso il criterio della prevedibilità.
Il nesso causale vale a collegare condotta a danno-evento, la prevedibilità vale a collegare condotta a danno-conseguenze lesive nota6. In questo senso vanno interpretate le pronunzie che collegano la prevedibilità alla misura dell'ammontare del danno e non all'esistenza del medesimo (Cass. Civ. Sez. II, 3395/97), anche se non mancano riferimenti alla prevedibilità legata non già alla misura del danno, bensì alla risarcibilità di esso (Cass. Civ. Sez. II, 2555/89).
Quanto esposto costituisce l'evidenza analitica di un fenomeno che, probabilmente, merita di esser colto in una dimensione sintetica diversa rispetto a quella usuale. Occorre cioè emancipare la questione del nesso di causalità nell'ambito civile rispetto all'analoga questione che si pone nel diritto penale. Nell'ambito penalistico, al quale viene istintivamente di far riferimento, il nesso causale possiede una connotazione per così dire naturalistica. Occorre cioè collegare ad una determinata condotta dell'agente un evento lesivo corrispondente ad un fatto di reato. Nell'ambito civile ciò che rileva non è la formulazione di un semplice giudizio di riconducibilità ad un soggetto di un evento fattuale (tra l'altro assolutamente atipico, non già predeterminato in via tassativa come per le condotte penalmente rilevanti), bensì un giudizio di collegamento tra una condotta ed un pregiudizio economicamente rilevante (il c.d. danno-conseguenze lesive). Ecco perché una parte della dottrina ha appellato il nesso di collegamento in esame come causalità giuridica, nozione che, munita dell'attributo citato, si contrappone a quella di causalità naturalistica nota7 .
Il problema del nesso causale nel diritto civile non è quello di sindacare se Tizio ha causato lesioni personali a Caio. Il punto consiste nel verificare se Tizio, inadempiente (ovvero nell'ambito di un comportamento rilevante ex lege aquilia ) debba risarcire ed in quale misura Caio delle conseguenze pregiudizievoli della propria condotta.
In questo senso, la verifica della sussistenza del nesso causale si pone come sintesi tra più aspetti riconducibili da un lato all'apprezzamento del danno-evento (ciò che rende necessaria un'indagine sulla condotta del debitore alla stregua degli artt. 1176 , 1218 cod. civ. e dell'eventuale inserimento di serie causali autonome e straordinarie riconducibili al caso fortuito ed alla forza maggiore), dall'altro alla valutazione del danno-conseguenze lesive (ciò che invece sollecita l'analisi sulla normalità del danno in rapporto al tipo di obbligazione, alla prevedibilità del danno come pregiudizio ordinariamente derivante dall'inadempimento, indipendentemente dal fatto che esso si ponga come conseguenza immediata e diretta) (Cass. Civ. Sez. III, 65/89 ; Cass. Civ. Sez. III, 2247/81 ; Cass. Civ. Sez. III, 3609/84 ) nota8. La costruzione che precede assume una speciale rilevanza in tema di c.d. causalità omissiva o ipotetica. Quando la mancata esecuzione di una condotta può essere considerata causa dell'evento pregiudizievole? Anche inj questa ipotesi nell'ambito penalistico la risposta è ricavabile in forza del principio dell'equivalenza di cui all'art.40 c.p., in forza del quale la condotta omissiva dell'agente può essere considerata causa dell'evento quando si accerti che esso non si sarebbe verificato qualora fosse stata posta in essere la condotta doverosa. Allo stesso canone si potrà uniformare il Giudice civile, sia pure in base ad un criterio probabilistico che non può possedere una valenza di accertamento in termini di sicurezza assoluta relativamente al fatto che (nell'ipotesi di competente attivazione da parte del soggetto passivo dell'obbligazione) il danno non avrebbe avuto luogo (cfr. Cass. Civ., Sez.II, 21894/04 ).

Note

nota1

Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1996, p. 613.
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nota2

Visintini, Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, Milano, 1984, p. 9.
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nota3

Questa teoria, elaborata dalla dottrina tedesca, ha avuto le principali adesioni da parte della dottrina penalistica: cfr. Antolisei, Il rapporto di causalità nel diritto penale, Torino, 1960, p. 105.
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nota4

Sul punto Visintini, L'inadempimento delle obbligazioni, in Tratt. dir. priv., dir. da Rescigno, vol. IX, Torino, 1984, p. 199.
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nota5

In particolare, secondo Patti, voce Danno patrimoniale, in Dig.disc.priv., vol.V, Torino, 1989, p. 103, la regola effettivamente vigente considera risarcibile il danno solo in quanto sia anche prevedibile.
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nota6

In questo senso Gorla, Sulla cosiddetta causalità giuridica: fatto dannoso e conseguenze, in Riv. dir. comm., 1951, vol. I, p. 407.
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nota7

Gaudino, in Comm. cod. civ., dir. da Cendon, p. 132.
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nota8

Analogamente Bianca, Diritto civile, vol. V, Milano, 1994, p. 130.
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Bibliografia

  • ANTOLISEI, Il rapporto di causalità nel diritto penale, Torino, 1960
  • BIANCA, Diritto civile, Milano, V, 1994
  • GAUDINO, Torino, Comm.cod.civ.dir.da Cendon, IV, 1999
  • GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006
  • GORLA, Sulla cosiddetta causalità giuridica: fatto dannoso e conseguenze, Riv.dir.comm., I, 1951
  • PATTI, Danno patrimoniale, Torino, Dig.disc.priv., V, 1989
  • VISINTINI, L'inadempimento delle obbligazioni, Trattato di dir.priv. diretto da Rescigno, IX, 1984
  • VISINTINI, Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, Milano, 1984

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