Gli usi normativi



Alla legge ed ai regolamenti (tralasciando il non più attuale riferimento alle norme corporative) quali fonti primarie di produzione normativa l'art. 1 disp.prel.cod.civ.  aggiunge gli usi (normativi).

E' il caso di osservare che, comunque, il rinvio alla consuetudine non può operare in materie coperte da riserva di legge. Si pensi al diritto penale ed al principio di tassatività di cui all'art. 5 cod.pen.: è escluso che possa essere consuetudinariamente introdotta una fattispecie di illecito penale.

Ai sensi dell'art. 8 disp.prel.cod.civ.  viene precisato il rango e la forza della consuetudine. Quando si tratta di materia regolata dalla legge l'uso non può assumere forza se non in quanto la legge stessa vi faccia riferimentonota1 . E' evidente che la consuetudine, proprio in quanto corrispondente ad una norma non scritta, pone problemi di conoscenza e di reperimento dei contenuti: l'art. 9 disp.prel.cod.civ. pone una semplice presunzione di vigenza dell'uso che risulti dalla pubblicazione nelle raccolte ufficiali degli enti e degli organi a ciò autorizzati.

In ogni caso il diritto consuetudinario possiede una scarsa rilevanza in una temperie storico-giuridica non tanto connotata da un diritto codificato, quanto  addirittura afflitta da un eccesso di produzione legislativa.

Requisiti ai fini della sussistenza di un uso normativo sono reputati i seguenti:

  1. la reiterazione di un certo tipo di condotta (l'elemento c.d. oggettivo dell' uso);
  2. tale ripetizione deve essere generale e costante, da ritenersi pertanto uniforme in un ambito determinato (tutti i commercianti, tutti i locatori, ecc.),
  3. per un tempo adeguata­mente protratto,
  4. un atteggiamento interiore (l'elemento psicologico, soggettivo), la c.d. opinio iuris ac (seu) necessitatis, consistente nel convincimento della vincolatività generale dell'uso. In altri termini, affinché sussista una consuetudine normativa, è necessario che siano soddisfatte due condizioni:


  1. che un certo tipo di comportamento sia generalmente e costantemente ripetuto in un dato ambito per un tempo non breve;
  2. che il comportamento ripetuto sia avvertito da tutti come vincolante. A queste due condizioni v'è chi in dottrinanota2 aggiunge un terzo requisito che consiste nell'osservare che in tanto quella determinata condotta consistente nell'uso viene tenuta, in quanto ed a causa della sua ritenuta vincolatività. In realtà in questo modo viene esplicitato il collegamento che necessariamente si pone tra elemento oggettivo ed elemento soggettivo (come sopra esplicitati: ripetitività connotata dai requisiti di cui s'è fatto cenno + opinio juris ac necessitatis) in cui propriamente si fa consistere l'essenza della consuetudine.

D'altronde è stato osservato che la relazione fra i due elementi costitutivi della consuetudine è una relazione di interdipendenza reciproca, nel senso che in difetto di contemporaneo riscontro sia dell'uno sia dell'altro non è dato di poter rinvenire l'esistenza di uso normativo.

E' usuale in dottrina la distinzione di tre specie di uso normativo:

  1. gli usi secundum legem, quelli cioè che operano « in accordo » con la legge;
  2. gli usi praeter legem, vale a dire quelli che operano « al di là » della legge, in difetto di previsioni legislative;
  3. gli usi contra legem, cioè quelli che si pongono «contro » la legge. Cosa riferire a proposito di questa distinzione?

Dato il riferito modo di disporre dell'art. 1 disp.prel.cod.civ. segue che la consuetudine è fonte strutturalmente subordinata alla legge, che può operare solo nei limiti in cui la legge lo permette.Non risulta pertanto ammissibile la consuetudine contra legem  (né la desuetudine quale conseguenza della mancata applicazione della legge nel tempo).Una ulteriore riprova di ciò si rinviene nell'art. 15 disp.prel.cod.civ. , che, in materia di efficacia abrogativa della legge, dispone che  essa non può venire meno se non per effetto di leggi cronologicamente successive. Deve pertanto escludersi, alla luce di quanto già riferito a proposito dell'art. 8 disp.prel.cod.civ.,  che l'uso possa essere dotato di una forza sufficiente a supportare un effetto abrogativo.

In forza della norma da ultimo citata è possibile distinguere tra:

  1. fattispecie disciplinate da leggi e regolamenti;
  2. fattispecie che non rinvengono disciplina in fonti scritte. Relativamente alle materie di cui al punto a) la consuetudine è produttiva di regole giuridiche soltanto in quanto fonti scritte (leggi o reolamenti) vi facciano rinvio (art. 8, comma 1, disp.prel. cod.civ. ). Proprio per questa ragione l'uso in questione viene appellato secundum legemnota3.

Esistono nel codice civile alcuni richiami agli usi. Talvolta ad essi si fa riferimento come fonte di integrazione della disciplina di un certo rapporto, talaltra ai medesimi viene espressamente conferita la forza di introdurre deroghe rispetto alla stessa disciplina del codice civile, da qualificarsi come semplicemente dispositiva.

In quali ipotesi è consentito di poter parlare di uso praeter legem?

Dovrebbero a questo riguardo venire in esame materie non regolate da fonti normative scritte (ciò che oggi è quasi impossibile riscontrare) che, traendo conforto da un'interpretazione a contrario rispetto al tenore letterale dell'art. 8 disp.prel.cod.civ. , potrebbero rinvenire una disciplina nella consuetudine che esistesse in merito.

Come già rilevato, al diritto consuetudinario, proprio perché non scritto, non può attingersi come avviene per la legge, oggetto di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Da un lato non esistendo fonti ufficiali, si pongono non indifferenti problemi di cognizione e di prova relativamente all'esistenza di una determinata consuetudine, dall'altro, in quanto comunque regola di rango primario, vige il principio iura no­vit curia, in virtù del quale il giudice deve fare applicazione dell'uso di cui deve essere a conoscenza. indipendentemente dall'allegazione e dalla deduzione di esso ad opera delle parti (Cass. Civ. Sez. I, 9227/95 ).

Che cosa dire dell'ipotesi in cui il giudice non sia a conoscenza di una norma consuetudina­ria invocata da una delle parti?

Prescindendo dal  già riferito modo di disporre dell'art. 9 disp.prel.cod.civ. circa le raccolte ufficiali degli enti e degli organi a ciò autorizzatinota4, è evidente che colui che ha interesse all'applicazione dell'uso ha altresì l'interesse a darne contonota5 . A questo proposito si può raggiungere la prova dell'esistenza della consuetudine con ogni strumento utile, quali precedenti in materia, qualsiasi risultanza documentale e persino la prova testimonialenota6 .

L'uso che abbiamo sottoposto a breve analisi viene, come detto, appellato uso normativo. Esso si distingue sia dagli usi negoziali o contrattuali (cfr. art. 1340 cod.civ.) sia dagli usi interpretativi di cui all'art. 1368 cod.civ.). Si fa inoltre riferimento agli usi individuali nonchè ai c.d. usi aziendali, la cui natura vedremo di meglio precisare.

Note

nota1

Circa l'estensione della norma che richiama gli usi si veda Cass.Civ. Sez. III, 2335/80 top1

nota2

In tal senso Torrente Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, 1999, p. 27, il quale precisa che, in caso contrario, la conformità dell'uso potrebbe essere accidentale.
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nota3

Barel, Delle fonti del diritto, in Comm.breve al cod.civ., diretto da Cian-Trabucchi, Padova, 1984, p. 13, chiarisce che l'efficacia normativa della consuetudine secundum legem non è determinabile in via generale, ma dipende da quanto dispongono le norme di rinvio.
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nota4

Se l'uso risulta da raccolte ufficiali, infatti, la sua esistenza si presume (iuris tantum): cioè il giudice deve ritenerla accertata, almeno sino a quando chi ha un interesse opposto non dimostri il contrario: Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Istituzioni di diritto civile, vol. I, Genova, 1978, p. 58.
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nota5

In tal senso si veda Cass. Civ. Sez. III, 3533/72 top5

nota6

Contra Pizzorussi, Le fonti del diritto, Bologna-Roma, 1977, p. 39, il quale ritiene che la prova della consuetudine non può essere data mediante confessione o giuramento.
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Bibliografia

  • BAREL, Delle fonti del diritto, Padova, Comm.breve al cod.civ., 1984
  • PIZZORUSSI, Le fonti del diritto , Bologna Roma, 1977
  • TORRENTE-SCHLESINGER, Manuale di diritto privato , Milano, 2007


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