L'art.
2288 cod. civ.
prevede le ipotesi in cui il socio viene escluso di diritto, automaticamente. La fattispecie si differenzia alquanto quanto ad efficacia rispetto a quella dell'esclusione c.d. facoltativa. Quest'ultima infatti segue, ai sensi dell'art.
2287 cod. civ. ad una deliberazione degli (altri) soci ovvero ad un provvedimento del giudice (nell'ipotesi di società composta da due soci soltanto, uno dei quali da escludere).
L'esclusione di diritto segue invece automaticamente, non appena verificatosi il fatto che la origina. Eventualmente può sorgere una controversia circa la sussistenza dell'evento che integra una delle cause di esclusione di diritto. La relativa pronunzia, con la quale si accerterà se la detta causa abbia avuto luogo, avrà natura meramente dichiarativa.
La
ratio dell'art.
2288 cod. civ. va individuata nella indispensabilità di proteggere sia la società, sia gli altri soci da eventi che, pur sortendo un'efficacia immediata sul socio direttamente interessato, ledendone la sfera patrimoniale e personale, non possono non riverberarsi anche sui primi. Così, a mente della norma richiamata, deve anzitutto essere escluso il socio fallito (a far tempo dal 15 agosto 2020 "il socio nei confronti del quale sia stata aperta o estesa la procedura di liquidazione giudiziale secondo il codice della crisi e dell'insolvenza"). Infatti il curatore del fallimento subentrerebbe al detto socio, intromettendosi negli affari sociali, appesantendone la gestione e spersonalizzandola (decr. Tribunale di Palermo,
06/04/2004)
nota1. A mente del II comma della disposizione in esame viene parimenti escluso di diritto
"il socio nei cui confronti un suo creditore particolare abbia ottenuto la liquidazione della quota" a norma dell'art.
2270 cod. civ . .
Il detto elenco di cause di esclusione possiede una
portata tassativa: non v'è dunque spazio per l'introduzione convenzionale di ulteriori ipotesi
nota2.
Cosa accade nell'ipotesi, invero infrequente, in cui la pronunzia dichiarativa di fallimento che abbia riguardato il socio, sia stata successivamente revocata? E' stato deciso che, in detta ipotesi, la qualità di socio sia automaticamente ripristinata con efficacia retroattiva (Cass. Civ., Sez. III,
6734/11).
Note
nota1
Si noti come il detto esito sia stato invece escluso nell'ipotesi in cui il fallimento del socio sia la conseguenza di quello della società (cfr. Cass. Civ. Sez. I,
1991/75). La causa di esclusione consistente nel fallimento del socio rinviene applicazione anche alla società in accomandita semplice (Tribunale di Udine,
06/02/1988), nella quale il fallimento dell'accomandatario conduce anche necessariamente alla decadenza del medesimo dalla carica di amministratore (Tribunale di Verona,
01/04/1987).
top1nota2
Auletta, Deroghe contrattuali alla disciplina dell'esclusione nelle società di persone, in Annali seminario giuridico dell'Univ. Catania, 1947, p. 143; Innocenti, L'esclusione del socio, Padova, 1956, p. 98. E' tuttavia il caso di osservare come nella società in nome collettivo ed in quella in accomandita semplice l'art.
2307 cod. civ. permetta al creditore personale del socio di proporre opposizione alla decisione di proroga della durata della società o di domandare la liquidazione della quota quando sia intervenuta tacitamente la proroga della durata (sia pure subordinatamente alla prova dell'incapienza del patrimonio personale del socio in relazione al debito del medesimo). Inversamente non potrebbe sortire effetto nella società in nome collettivo (ed in quella in accomandita semplice), stante il modo di disporre dell'art.
2305 cod. civ. la causa di esclusione di cui al II comma dell'art.
2288 cod. civ. .
top2Bibliografia
- AULETTA, Deroghe contrattuali alla disciplina dell'esclusione nelle società di persone, Annali seminario giuridico dell'Univ. di Catania, 1947
- INNOCENTI, L'esclusione del socio, Padova, 1956