Cass. civile, sez. II del 2023 numero 31106 (08/11/2023)
La produzione dei certificati relativi alle trascrizioni e iscrizioni sull’immobile da dividere, imposta dall’art. 567 c.p.c., per la vendita del bene pignorato, non costituisce un adempimento previsto a pena di inammissibilità o improcedibilità della domanda, tenuto conto che, in tali giudizi, l’intervento dei creditori e degli aventi causa dei condividenti è consentito ai soli fini dell’opponibilità delle statuizioni adottate. Ciò vale anche nel caso in cui si debba procedere alla vendita dell’immobile comune; le informazioni richieste dalla norma a tutela del terzo acquirente possono essere acquisite d’ufficio dal giudice della divisione, il quale, nello svolgimento del potere di direzione delle operazioni, può ordinare alle parti la produzione della documentazione occorrente o avvalersi del professionista delegato alla vendita (Cass. 10067/2020, Cass. 6228/2023).
Quanto ai titoli di provenienza, è principio costante nella giurisprudenza di questa Corte che nei giudizi di scioglimento della comunione, la prova della comproprietà dei beni non è quella rigorosa richiesta in caso di azione di rivendicazione o di accertamento positivo della proprietà, atteso che la divisione, oltre a non operare alcun trasferimento di diritti dall’uno all’altro condividente, è volta a far accertare un diritto comune a tutte le parti in causa e non la proprietà dell’attore con negazione di quella dei convenuti; è consentito il ricorso alla prova indiziaria o alla c.t.u., siccome rivolte a vantaggio della collettività dei condividenti (Cass. 6228/2023; Cass. 22661/2022).
Anche gli atti di scioglimento delle comunioni relative ad edifici, o a loro parti, sono soggetti alla sanzione della nullità prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, per gli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali relativi ad edifici realizzati prima della entrata in vigore della detta legge, nonché dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, comma 1, (già della L. n. 47 del 1985, art. 17), per quelli realizzati in epoca successiva, ove dagli atti non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria, ovvero ad essi non sia unita copia della domanda di sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate di oblazione o una dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che la costruzione dell’opera è stata iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967 (Cass. S.U. 25021/2019).
Compete al giudice di merito accertare, nell’ipotesi in cui nel patrimonio comune vi siano più immobili da dividere, se il diritto del condividente sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari, oppure attraverso l’assegnazione di interi immobili ai singoli condividente, con apprezzamento insindacabile, se correttamente motivato (Cass. 17862/2020; Cass. 8286/2019; Cass. 9282/2018; Cass. 15015/2000).
Nell’assegnare i valori alle singole porzioni, il c.t.u. ha tenuto conto della diversa utilizzabilità a fini produttivi delle diverse superfici che componevano il fondo, operando una media tra il valore della parte produttiva e di quella meno pregiata, con un criterio non svincolato dal necessario riferimento al valore venale, rapportato, nella specie, al pregio delle estensioni valutate.
Circa poi l’indivisibilità del fabbricato poiché pericolante, il criterio risponde al disposto dell’art. 720 c.c., che impone di considerare sia la possibilità di un frazionamento materiale del bene, sia la possibilità che tale divisione non comporti un notevole deprezzamento dell’immobile rispetto all’utilizzazione del complesso indiviso, accertamento di cui dà motivatamente conto la sentenza, ponendo in rilievo l’impossibilità di apportare qualsivoglia modifica strutturale, dato il concreto rischio di crollo del manufatto (Cass. 673/1979; Cass. 2309/1981; Cass. 4233/1987).
La non comoda divisibilità di un immobile può derivare, sotto l’aspetto strutturale, anche dall’irrealizzabilità fisica del frazionamento.