Mancato avveramento di condizione potestativa mista e apprezzamento della condotta dei contraenti. (Cass. Civile, Sez. II, sent. n. 243 del 7 gennaio 2025)

La controversia intercorsa tra promittente alienante e promissario acquirente a riguardo del mancato avveramento di una condizione potestativa mista, apposta nell'interesse di entrambe le parti, non può essere risolta facendo applicazione del generale principio regolante l'onere della prova nei contratti sinallagmatici. Ma deve accertarsi, sulla scorta delle emergenze di causa e in concreto, se sia individuabile una parte inadempiente o, comunque, prevalentemente inadempiente (nel caso gli adempimenti fossero reciproci), per avere mancato di comportarsi secondo buona fede, avuto riguardo alla condizione apposta al negozio e in pendenza di essa

Commento

(di Daniele Minussi)
Come è noto, si parla di condizione potestativa quando l'evento dedotto nella relativa clausola consiste in un fatto umano rientrante in una scelta discrezionale del soggetto che la deve porre in essere, scelta che impone un impegno di una qualche consistenza per chi lo assume (onde si giunge a parlare di una condotta obbligatoria o quantomeno corrispondente ad un onere). la condizione è invece mista quando la verificazione dell'evento dipenda per parte dal caso, per parte dalla volontà di una delle parti. Nel caso concreto veniva in considerazione una condizione sospensiva potestativa mista apposta nell'interesse di entrambe le parti, il cui mancato avveramento (che, si badi bene, potrebbe essere sanzionato per effetto della finzione di avveramento di cui all'art. 1359 cod.civ.) può ben essere ricondotto alla responsabilità di una delle parti facendo uso del criterio comportamentale costituito dall'obbligo di comportarsi secondo buona fede durante la fase di pendenza della condizione.

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