Fondo patrimoniale e credito "indirettamente" correlato al soddisfacimento delle esigenze familiari. Comunione legale tra coniugi e società in nome collettivo: esercizio del diritto di recesso. (Cass. Civ., Sez. I, ord. n. 8222 del 27 aprile 2020)

Qualora il credito in relazione al quale si procede sia soltanto indirettamente destinato alla soddisfazione delle esigenze familiari del debitore, essendo il relativo debito contratto nell'ambito dell'attività professionale da cui il debitore stesso ricava il reddito occorrente per il mantenimento della famiglia, non è consentita, ai sensi dell'art. 170 cod.civ., il soddisfacimento a valere sui beni costituiti in fondo patrimoniale.
Tra coniugi che vivono in regime di comunione legale può essere costituita una società di persone, con un patrimonio costituito dai beni conferiti dagli stessi. Nell'ipotesi di recesso di uno dei soci, essendo le società a base personale dotate di soggettività giuridica distinta rispetto a quella del singolo socio, deve ritenersi che l'obbligo della liquidazione della quota sia a carico della società stessa. La domanda del coniuge intesa all'accertamento della comproprietà dei beni sociali può essere interpretata dal giudice come intesa alla liquidazione della sua quota sociale.

Commento

(di Daniele Minussi)
La decisione della S.C. si palesa come rilevante sotto un duplice profilo. Anzitutto in tema di fondo patrimoniale si pone come argine rispetto ad un orientamento che ha avuto modo di manifestarsi di recente: quello cioè di reputare in un certo senso (quasi) sempre contratto per le esigenze familiari il debito facente capo ad uno dei coniugi. A ben vedere infatti l'imprenditore, quando fosse coniugato, alla fin fine lavorerebbe pur sempre per mandare avanti il menage familiare: per tale via anche eventuali debiti tributari sarebbero, seppure indirettamente, riconducibili a siffatta ultima finalità (cfr. Cass. Civ., Sez. VI-T, 23328/2015; Cass. Civ., Sez. III, 17076/2017). La sentenza in esame argina queste conclusioni: quando infatti il debito fosse riconducibile all'attività professionale, sarebbe soltanto "indirettamente" destinato a soddisfare i bisogni della famiglia e, per tale motivo, i beni vincolati dal fondo non potrebbero essere aggrediti dal creditore.
In secondo luogo la pronunzia viene a confermare la possibilità che due coniugi che vivano in regime di comunione legale dei beni abbiano a costituire tra loro una società di persone (cosa invero non scontata, stante la contraddizione tra il regime della responsabilità per i debiti sociali proprio delle società a base personale e quello proprio della comunione legale dei beni tra coniugi). Ciò premesso, come interpretare la domanda della moglie nei confronti del marito intesa all'accertamento della comproprietà dei beni appartenenti ad una società in nome collettivo? Secondo la S.C. si tratterebbe di un'istanza di liquidazione della quota sociale, la domanda della moglie nei confronti del marito tesa all'accertamento della comproprietà dei beni appartenenti ad una società in nome collettivo, di cui i coniugi in regime di comunione dei beni erano unici soci).

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