Tribunale di Trani del 2010 (11/01/2010)



Accedendo all'interpretazione più condivisibile, il giudicante deve escludere che la locuzione "interesse o vantaggio " di cui all'art. 5, D.Lgs. n. 231/2001 possa essere intesa in una complessiva ottica meramente rafforzativa di un solo concetto, tautologicamente ripreso dal secondo termine. I sostantivi sono individuati in via alternativa, come si ricava del resto anche dall'art. 12 che, nell'enucleare i casi di riduzione della sanzione pecuniaria, tratteggia quale ipotesi attenuata quella del fatto commesso dall'autore nel prevalente interesse proprio o di terzi se l'ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo. Ci può essere quindi responsabilità in presenza di un interesse, anche senza vantaggio. La lettura del secondo comma lascia però comprendere che, pur in presenza di un vantaggio, l'ente non possa rispondere in assenza di un reato commesso anche nel suo interesse. Per non lasciare al testo dell'art. 5 una portata criptica, si deve ritenere che il vantaggio possa essere valorizzato, sul piano processuale, precisamente nella formazione della prova della responsabilità dell'ente, quale elemento apprezzabile ex post ma dimostrativo del suo interesse ex ante e che esso sia destinato a perdere vigore probatorio in presenza della prova positiva di un interesse esclusivo proprio o di terzi presente nella condotta tenuta da parte delle persone indicate nel primo comma.
L'interesse deve essere infatti oggettivo. L'art. 5 individua una responsabilità per reati commessi nell'interesse dell'ente e non semplicemente commessi ritenendo di perseguire un suo interesse. L'interesse deve essere concreto e non va agganciato alle mere intenzioni dell'autore del reato ed in generale al movente che lo spinto a porre in essere la condotta. Il convincimento di perseguire un interesse dell'ente, laddove il dato fattuale non corrisponda effettivamente ad un obiettivo riconducibile alla politica d'impresa, non può sorreggere la prospettazione della responsabilità dello stesso ente.
Il requisito dell'interesse o del vantaggio è pienamente compatibile con la struttura dell'illecito introdotta dall'art. 9, L. n. 123, perpetuata nell'applicazione dall'art. 300, D.Lgs. n. 81/08, dovendosi di volta in volta accertare solo se la condotta che ha determinato l'evento la morte o le lesioni personali sia stata o meno determinata da scelte rientranti oggettivamente nella sfera di interesse dell'ente oppure se la condona medesima abbia comportato almeno un beneficio a quest'ultimo senza apparenti interessi esclusivi di altri.
È evidente che il sistema introdotto dal D.Lgs. n. 231/2001 impone alle imprese di adottare un modello organizzativo diverso e ulteriore rispetto a quello previsto dalla normativa antinfortunistica, onde evitare in tal modo la responsabilità amministrativa. Non a caso, mentre i documenti antinfortunistici sono redatti a mente degli artt. 26 e 28, D.Lgs. n. 81/08, il modello di organizzazione e gestione del D.Lgs. n. 231/2001 è contemplato dall'art. 30, D.Lgs. n. 81/08, segnando così una distinzione non solo nominale ma anche funzionale. Non è possibile che una semplice analisi dei rischi valga anche per gli obiettivi del D.Lgs. n. 231/2001. Anche se sono ovviamente possibili parziali sovrapposizioni, è chiaro che il modello teso ad escludere la responsabilità societaria è caratterizzato anche dal sistema di vigilanza che, pure attraverso obblighi diretti ad incanalare le informazioni verso la struttura deputata al controllo sul funzionamento e sull'osservanza, culmina nella previsione di sanzioni per le inottemperanze e nell'affidamento di poteri disciplinari al medesimo organismo dotato di piena autonomia.

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