Patti sull'imposta



La verifica della validità delle clausole che spostano l’onere del tributo dal debitore all’altra parte contrattuale passa, innanzi tutto, dalla risposta al quesito se sia consentito ai privati trasferire, lato sensu, il rapporto di debito con il Fisco da un soggetto ad un altro e, quindi, verificare l’efficacia di simili patti tra le parti e nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.

Altrimenti detto, pur non trascurando la circostanza che il rapporto di rivalsa assume esclusivamente rilevanza nell’ambito dei rapporti tra privati, occorre tener conto che la disciplina della rivalsa è, comunque, parte integrante della struttura del tributo e costituisce preciso segno della volontà del legislatore di individuare la capacità contributiva colpita dal tributo ed il relativo soggetto passivo ed individuare in quali limiti operi l’art. 53 della Costituzione (capacità contributiva).

In buona sostanza la verifica, se i patti che attuano una traslazione dell’imposta da un soggetto ad un altro siano o meno leciti, va fatta con riguardo al fondamento del rapporto di rivalsa, diverso a seconda del tipo di tributo, e, quindi, con riferimento al detto precetto costituzionale che vieta di sottrarre materia imponibile alla tassazione.

A me pare che non possa esservi dubbio della nullità dei patti per i casi di rivalsa obbligatoria (sia mediante ritenuta alla fonte sia mediante addebito dell’IVA in fattura) che perseguano non lo scopo di spostare l’onere economico su un altro soggetto, ma quello di alterare il rapporto, di natura pubblica e non privata, di debito con il Fisco sostituendo un soggetto ad un altro. In primis per il dettato del citato art. 53 della Costituzione che, nel rispetto del principio di capacità contributiva, impone la coincidenza tra il soggetto che sopporta l’onere economico del tributo e quello che realizza il presupposto in senso giuridico (nell’ambito dell’IVA la traslazione del tributo verso il consumatore finale e nella rivalsa mediante ritenuta il percipiente della somma di danaro) e, quindi, per contrarietà con il citato art. 53 della Costituzione (art. 1418 cod. civ.) ed anche, in ambito IVA, per la presenza di specifiche norme che dichiarano nullo ogni patto contrario (art. 18, comma 4, D.P.R. n. 633/1972).

Dibattuta è, invece, per i casi di rivalsa obbligatoria (sia mediante ritenuta alla fonte sia mediante addebito dell’IVA in fattura) la liceità dei patti diretti a traslare esclusivamente l’onere economico dell’operazione.

Il problema si è posto in dottrina e giurisprudenza ed è stato variamente risolto nota1. Per una tesi, mancando nella legge tributaria una espressa norma che consenta di trasferire ad altri le imposte sui redditi, i patti sulle imposte dovrebbero essere ritenuti validi in ragione del generale principio sancito dall’art. 1322 cod. civ. della autonomia contrattuale. In senso opposto si è affermata la nullità per illiceità della causa contraria all’ordine pubblico dei patti d’imposta quando siano rivolti a trasferire su altri il proprio onere tributario in quanto l’autonomia negoziale non può alterare i connotati dei tributi, strutturati in modo che ad ogni capacità contributiva corrisponda inderogabilmente una riduzione del patrimonio, come prescritto dagli artt. 2 e 53 della Costituzione nota2.

In estrema sintesi il punto cruciale della verifica sulla liceità dei patti d’imposta, diretti ad incidere sul rapporto di natura privata diretto esclusivamente a trasferire l’onere economico, va indagato:
  • anche tenendo conto dell’art. 8, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente) che ora ammette espressamente “l’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario”;
  • con riguardo al fondamento del rapporto di rivalsa, diverso a seconda del tipo di tributo;
  • con riferimento al precetto costituzione (capacità contributiva) inteso come garanzia dei limiti posti allo Stato di imporre tributi e divieto di tassare un soggetto in ragione di indici di capacità contributiva riferiti ad altri, ma non di limitare la libertà negoziale dei privati.

Note

nota1

La giurisprudenza di legittimità ha assunto contrastanti posizioni per la nullità dei patti d’imposta: cfr. Cass. 3 aprile 1990, n. 2688; Cass. 23 novembre 1989, n. 5031; Cass. 14 gennaio 1989, n. 162; Cass., SS.UU., 26 giugno 1987, n. 5652; Cass. 5 gennaio 1985, n. 5; Cass. 22 agosto 1981, n. 4974, Cass. 28 novembre 1981, n. 6286, Cass. 6 luglio 1981, n. 4409; Cass. 20 novembre 1992, n. 6037; Cass. 10 maggio 1994, n. 4556; in senso contrario Cass., SS.UU., 18 dicembre 1985, n. 6445; Cass. 28 marzo 1995, n. 3608.
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nota2

Cfr. Cass., SS.UU., 18 dicembre 1985, n. 6445; Cass. 23 aprile 1987, n. 3935. Nel senso della nullità dei patti sull’imposta se intervengono a modificare la rivalsa obbligatoria, cfr. R. Lupi, Manuale professionale di diritto tributario, Milano 2000.
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