Differenza tra usufrutto e quasi usufrutto



L'usufrutto può avere ad oggetto qualsiasi specie di bene. L'utilizzazione di beni consumabili, anche detti ad utilità semplice (il denaro, il grano, ecc.), ne postula tuttavia la distruzione. Nel caso in cui il proprietario voglia attribuire ad altri il godimento di beni consumabili, il diritto relativo non può dunque identificarsi nell'usufrutto, poichè esso richiede essenzialmente la salvezza della sostanza del bene e la restituzione del medesimo al termine del diritto.

L'art.995 cod.civ. afferma che se l'usufrutto comprende cose consumabili, l'usufruttuario ha diritto di servirsene e ha l'obbligo di pagarne il valore al termine dell'usufrutto secondo la stima convenuta.

Su questa disposizione è stato costruito il quasi-usufrutto, come uno schema di diritto in cui l'usufruttuario diventa immediatamente proprietario delle cose che riceve in godimento, essendo tenuto soltanto a pagarne la stima o il valore stabilito alla fine dell'usufrutto o a restituirle non esattamente in natura, ma nel tantundem.

Si tratta pertanto di un diritto diverso rispetto all'usufrutto: a questo si avvicina, pur senza identificarvisi, stante il passaggio della proprietà delle cose che ne sono oggetto. Per tale motivo questa situazione giuridica viene appellata quasi usufrutto nota1 . Il diritto in esame ha ad oggetto beni consumabili, la cui proprietà viene trasferita al quasi-usufruttuario, fatto salvo l'obbligo di restituzione non già dei medesimi beni ricevuti, bensì di altrettanti dello stesso genere (tantundem eiusdem generis) nota2 .

Giova rammentare quanto detto a proposito della distinzione tra cose consumabili, e cose semplicemente deteriorabili, corrispondenti ai beni comunque suscettibili di una fruibilità ripetuta: per questo motivo essi possono essere oggetto di usufrutto in senso proprio. L'usufruttuario, al termine del diritto è tenuto alla restituzione nello stato in cui si trovano (art. 996 cod. civ.).

La fattispecie risulta in armonia con la disposizione dell'art. 981 cod.civ . , che non tanto prevede la necessità di conservazione della sostanza della cosa, quanto il rispetto della destinazione economica di essa.

Note

nota1

Come ci tramanda Ulpiano, libro XVIII ad Sabinum, in D. 7.5.1, tale denominazione, utilizzata addirittura per intitolare il libro quinto del titolo settimo del Digesto, De usu fructu earum rerum quae usu consumuntur vel minuuntur, venne coniata da un senatoconsulto che aveva contemplato precisamente la possibilità che, riguardo ad un patrimonio, ne venissero legati tutti i beni, sia inconsumabili che consumabili. Per un maggior approfondimento riguardo le fonti romane, si veda p.es. Grosso, Corso di diritto romano. Usufrutto e figure affini nel diritto romano, Torino, 1959, p.305.
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nota2

Ormai è indiscutibile che si tratti di un usufrutto "irregolare". Proprio questa sua caratteristica determina la non automatica applicabilità di tutte le regole inerenti all'usufrutto ordinario: che dire infatti della norma che regola l'estinzione dell'usufrutto per non uso o per perimento della cosa ?
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Bibliografia

  • GROSSO, Corso di diritto romano. Usufrutto e figure affini nel diritto romano, Torino, 1959

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