Deliberazione del consiglio di amministrazione: il quorum deliberativo (società per azioni)



Il quorum deliberativo indica il numero minimo dei soggetti componenti l'organo collegiale affinchè quest'ultimo possa validamente assumere deliberazioni. In tema di consiglio di amministrazione era sorto sotto il vigore della legge antecedente la novella del 2003 un duplice ordine di problemi. Il primo avente ad oggetto l'accertamento del significato e delle condizioni di applicabilità della soglia di calcolo imposta dal legislatore, il secondo l'individuazione del termine di riferimento cui rapportare il criterio di computo del quorum deliberativo.

Sotto il primo profilo, si tendeva (e si tende tutt'oggi) comunemente a far coincidere la locuzione "maggioranza assoluta" con l'espressione "metà più uno". Il problema si poneva invece in relazione al termine di riferimento cui rapportarsi per il calcolo della maggioranza deliberativa richiesta. Il II comma dell'art. 2388 cod.civ. , infatti, a differenza di quanto previsto nel primo comma, non forniva alcuna indicazione al riguardo. La soluzione prospettata è stata quella di individuare detto termine di riferimento nel numero degli amministratori effettivamente presenti all'adunanza, computandosi esclusivamente i membri legittimati al valido esercizio del voto nota1.

Del resto, una diversa soluzione del problema avrebbe portato a conclusioni difficilmente sostenibili. Se infatti il computo dovesse essere effettuato sul numero dei membri componenti il consiglio, l'adozione di un simile criterio condurrebbe all'assurdo risultato di configurare un quorum deliberativo superiore allo stesso quorum costitutivo, dovendo quest' ultimo essere determinato con riferimento al numero degli amministratori effettivamente in carica al momento del calcolo della maggioranza. Né potrebbe farsi coincidere il quorum costitutivo con quello deliberativo, poiché verrebbe meno l'utilità dell'art. 2388, II comma, cod.civ. , che invece prevede, per le deliberazioni consiliari, un quorum deliberativo autonomo rispetto a quello costitutivo nota2.

Per quanto riguarda la determinazione del quorum deliberativo in presenza di amministratori in conflitto di interessi, è prevalsa la tesi per cui questi debbano essere esclusi dal relativo computo. Una volta infatti rispettato il principio di collegialità, con l'osservanza degli adempimenti procedimentali volti a consentire a tutti i membri l'intervento all'adunanza ed un consapevole esercizio del voto, l'eventuale emersione, in tale sede, di un conflitto di interessi, non può più rilevare sul quorum deliberativo nel senso di impedire la formazione di una decisione comunque ascrivibile all'organo collegiale nota3.

Circa l'incidenza della posizione dell'astenuto sul calcolo del quorum deliberativo, si è da più parti sostenuto che lo stesso non sia da computarsi sulla determinazione del quorum. Ciò anche se non sono mancati coloro che, contrariamente, hanno affermato che l'astensione equivalga a voto contrario nota4.

Ulteriori problematiche riguardavano il II comma dell'art. 2388 cod.civ. , che consentiva all'autonomia statutaria di disporre diversamente, in tema di quorum deliberativi, da quanto prescritto dal legislatore. La formula utilizzata era tuttavia quanto mai generica (salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo) e autorizzava, in teoria, qualsiasi previsione statutaria, finanche l'ipotesi di clausole statutarie che imponessero l'unanimità dei consensi per la valida adozione delle deliberazioni consiliari ovvero clausole tali da consentire il formarsi della volontà consiliare anche attraverso il contributo di un solo membro. Sotto il primo profilo, la dottrina era giunta a conclusioni sostanzialmente coincidenti con quelle raggiunte sulla inammissibilità di una previsione che richiedesse la presenza di tutti i consiglieri per la valida costituzione dell'organo collegiale. Anche in tal caso, pertanto, era prevalsa l'esigenza di assicurare comunque al consiglio di amministrazione una efficace capacità deliberativa che sarebbe risultata frustrata dall'obbligo dell'unanimità nota5. Sotto il secondo profilo si era discusso sulla validità di quella clausola che, in un consiglio di amministrazione bipersonale, avesse attribuito la prevalenza al voto del presidente in caso di parità di voti (c.d. clausola "casting vote"). Se la clausola del "casting vote" era infatti pacificamente ammessa in caso di consiglio di amministrazione pluripersonale nota6 (in genere composto da quattro o più membri, poiché in un collegio di amministrazione composto da un numero di componenti dispari, è difficile, anche se non impossibile, si pensi all'astensione, che vi sia una parità di voti), nel caso di consiglio amministrazione composto da due persone la legittimità di tale clausola sarebbe stata discutibile. Ciò in quanto, di fatto, essa avrebbe posto il potere di gestione della società, esclusivamente in capo al presidente-amministratore (infatti, che l'altro amministratore fosse d'accordo con il presidente sarebbe stato ininfluente, stante la prevalenza, in ogni caso, del voto di quest'ultimo).

Intervenuta in materia, la giurisprudenza ha affermato che la partecipazione alle riunioni del consigliere non presidente diverrebbe in questo modo superflua poiché il presidente sarebbe comunque "arbitro di decidere a suo piacimento anche in caso di disaccordo con l'altro amministratore, e ciò in virtù della prevalenza attribuita al suo voto e quindi alla sua volontà", con conseguente sostanziale svilimento del principio di collegialità cui "deve ispirarsi il funzionamento dell'organo consiliare e che appare inequivocabilmente recepito nell'art. 2388 cod.civ. ".

Non poche sono state tuttavia le critiche a tale impostazione. Innanzitutto si è affermato che non può parlarsi di invalidità, nel caso di deliberazioni collegiali adottate con una manifestazione di volontà espressa da uno solo dei suoi componenti. Questo in quanto la giurisprudenza ha statuito l'ammissibilità di deliberazioni consiliari assunte con il voto di un solo amministratore a causa dell'astensione degli altri per conflitto di interessi, senza che tale circostanza potesse incidere in qualche modo sulla natura "collegiale" della deliberazione. Inoltre nessuno ha mai dubitato della legittimità di deliberazioni assembleari adottate con il voto del solo socio di maggioranza o del socio unico azionista o quotista. Secondo tale tesi, inoltre, sostenere che la partecipazione al voto del consigliere non presidente è sempre superflua, significa non tenere in considerazione i molteplici aspetti della disciplina societaria in materia di amministrazione, limitando l'attenzione soltanto a quel che riguarda il contributo alla formazione della volontà dell'organo consiliare. Basterebbe infatti pensare "alla legittimazione all'impugnativa delle deliberazioni consiliari, riservata ai soli amministratori assenti o dissenzienti (art. 2391, III comma, cod.civ. ante riforma) ed alle formalità di esonero dalla responsabilità amministrativa solidale che investe i membri del collegio, le quali presuppongono necessariamente il dissenso dell'amministratore da quelle decisioni che hanno determinato il pregiudizio per la società" nota7.

A sostegno della clausola "casting vote" nel caso di specie, si è infine, sottolineato che l'applicazione dell'art.2388, II comma, cod.civ. , all'ipotesi di amministrazione bipersonale con la clausola di salvezza che consente una diversa disposizione dell'atto costitutivo in tema di quorum deliberativo, non avrebbe senso se essa non venisse interpretata come "diretta a consentire che l'atto costitutivo preveda la validità della deliberazione del consiglio (regolarmente costituito con la partecipazione dei suoi membri) assunta con il voto favorevole del solo presidente". La maggioranza assoluta, infatti, in tal caso, coincide con l'unanimità: e poiché, in ossequio al disposto dell'art. 2388 cod.civ. , che non ammette deroghe in diminuzione, per la valida costituzione del consiglio di amministrazione formato da due membri, è sempre necessaria la presenza di entrambi gli amministratori, non si vede sotto quale profilo la clausola in esame possa essere contestata. Ciò non con riguardo al momento costitutivo dell'organo collegiale, essendo soddisfatto il requisito della partecipazione di più soggetti alla formazione della volontà consiliare, né con riguardo al momento deliberativo costituendo anzi la previsione di "casting vote" un correttivo mitigatore alla forzosa imposizione di un principio di unanimità della deliberazione nota8.

Note

nota1

E' stato osservato che non possono concorrere alla determinazione del quorum deliberativo i voti invalidi che costituiscono "non voti". In tal senso Minervini, cit., 393.
top

nota

nota2

Bonelli, Gli amministratori di società per azioni, in Tratt.dir.priv. diretto da Rescigno, Torino, 1985, p. 437; Schiano di Pepe, "Quorum" deliberativo o costitutivo per la delibera del c.d.a. in Corr. giur., 1992, p. 302.
top

nota3

In effetti, valutando la fattispecie sotto il profilo sistematico, l'esigenza di assicurare la giuridica imputazione all'organo consiliare delle deliberazioni da esso promananti, appare già garantita dalla riconosciuta facoltà di partecipazione alla riunione consiliare "di un numero di soggetti idoneo a costituire un collegio" a prescindere dalla posizione soggettiva dei singoli componenti rispetto all'interesse sociale (l'art. 2391, cod.civ., infatti, vietava la partecipazione alle deliberazioni, ma non all'adunanza consiliare, degli amministratori in conflitto di interessi). L'applicazione analogica dell'art. 2373 cod.civ., anche in tale ipotesi, mediante una lettura a contrario dell'ultimo comma, con conseguente esclusione dal computo del quorum deliberativo degli amministratori in conflitto di interessi, risulta dunque conforme ai principi ordinatori delle formazioni collettive. La stessa conclusione resta valida allorquando, costituitosi regolarmente il consiglio di amministrazione, consti che tutti gli amministratori, meno uno, versino in conflitto di interessi: tale evenienza, infatti, non significa altro che il potere deliberativo, normalmente esercitato dall'organo collegiale, viene a concentrarsi temporaneamente nell'unico consigliere legittimato alla manifestazione del voto, assumendo le forme, ma soltanto quelle, di una manifestazione individuale di volontà (nessuno dubita, per esempio, della legittimità di una deliberazione assembleare adottata con il solo voto del socio di maggioranza o del socio unico azionista o quotista). In tal senso vedi : Bocchini, L'assemblea delle società per azioni, Padova, 1991, p.8. Né può dirsi, circa gli effetti "esterni" di tale deliberazione, che venga in qualche modo pregiudicata la buona fede dei terzi che intrattengano rapporti con la società. La giurisprudenza ha avuto occasione di rilevare invero che proprio la maggiore ed esclusiva responsabilità assunta dall'unico consigliere "deliberante" (rispetto a situazioni analoghe che possono verificarsi nell'assemblea) è motivo che concorre a rafforzare l'affidamento del terzo sulla regolarità dell'operazione: cfr. Cass. Civ. Sez. I, 8976/91 Cass. Civ. sez. I, 10864/91 top

nota4

Invero, giurisprudenza e dottrina si sono occupate del fenomeno astensionistico prevalentemente con riferimento alla legittimazione all'impugnazione delle deliberazioni assembleari annullabili da parte del socio astenuto (cfr. Tribunale di Genova, 18 marzo 1991, in Le Società n.10,1991, p.1384 con nota di Rordorf, Impugnativa del bilancio da parte del socio astenuto ; Appello di Milano, 29 marzo 1991, in Le Società n.10,1991, p.1645 con nota di Patelli, Astensione dal voto e impugnazione della delibera ; Marano, L'astenuto: dissenziente o assente? in nota a Tribunale di Udine, 12 febbraio 1990, in Giur. comm., 1991, p. 990.) L'unico autore che sembra aver affrontato la questione specifica, ritiene che il voto del consigliere astenuto debba essere computato per il calcolo del quorum deliberativo in quanto assimilabile ad un' espressione di dissenso, e quindi "voto valido" a tutti gli effetti (vedi Rossi, L'astensione dal voto nell'assemblea di società per azioni, in Giur. comm., 1987, p. 539.).

Una simile equiparazione ha suscitato, tuttavia, perplessità perché ai fini della determinazione del quoziente deliberativo il calcolo delle astensioni comporta un effetto impeditivo ulteriore sull'adozione della deliberazione rispetto a quello prodotto dal dissenso; del resto, la considerazione delle esigenze di funzionalità ed efficienza proprie del consiglio di amministrazione dovrebbe consigliare un' equiparazione tra il consigliere astenutosi volontariamente e quello astenutosi per conflitto di interessi, escludendo dunque che anche la posizione del primo possa in qualche modo incidere sulla determinazione del quorum deliberativo. Diversamente infatti, si consentirebbe a quegli amministratori contrari all'adozione di una determinata deliberazione di impedire, attraverso lo strumento dell'astensione, la formazione delle maggioranze richieste; cosa che contrasta, non solo con le esigenze descritte, ma anche, come detto, con il più recente orientamento giurisprudenziale in tema di conflitto di interessi nelle deliberazioni consiliari.
top

nota5

Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1990, p.449. Contra Giuliani, Questioni in tema di composizione e di funzionamento dell'organo amministrativo nelle società di capitali, in Riv. soc. 1957, p.104, nonché De Marchi, In tema di organo amministrativo composto di due membri, Riv. soc., 1963, p.316. Sull'inammissibilità della clausola statutaria che prevede che il consiglio di amministrazione possa deliberare soltanto all'unanimità cfr. Tribunale di Cassino, 21 giugno 1991, in Le Società, n. 1,1992, p.82.
top

nota6

Bonelli, Gli amministratori di società per azioni, Milano 1985, 23 nota 38; Calandra Buonaura, Amministrazione bipersonale, metodo collegiale e clausola di prevalenza del voto del presidente, in Giur. comm., 1985, p. 654; Palmieri, Nomina dei nuovi amministratori ex art. 2393 terzo comma codice civile, conflitto d' interessi e "casting vote", in Giur. comm., 1991, p.340.

Vi è poi chi, come Messineo, Manuale di diritto commerciale, Milano 1954, ritiene che la clausola di "casting vote" costituisca un principio generale degli organi collegiali da applicarsi in tutti i casi di parità della votazione anche a prescindere dall'esistenza di una previsione statutaria in tal senso. Contra con richiami alla disciplina delle formazioni collegiali di diritto pubblico cfr. Calandra Buonaura, op.ciot., p.653, nota 1.
top

nota7

Calandra Buonaura, op.cit., p.657.
top

nota8

In argomento cfr. anche Rossi, Società a responsabilità limitata: prevale il voto del presidente, in Informatore Pirola, 1986, p.1726; favorevole alla legittimità della clausola in esame è pure Campobasso, Diritto commerciale, 2. Diritto delle società, Torino, 1992, p.336 nota 2.
top

Prassi collegate

  • Quesito n. 713-2014/I, SRL artigiana e regola del casting vote

Percorsi argomentali

Aggiungi un commento


Se vuoi aggiornamenti su "Deliberazione del consiglio di amministrazione: il quorum deliberativo (società per azioni)"

Iscriviti alla Newsletter di WikiJus!

Iscriviti