Contenuto delle azioni speciali in Spa consortile


Massima

In una società consortile per azioni è legittima la creazione di categorie di azioni fornite del diritto ad ottenere prestazioni consortili differenziate in relazione ai servizi offerti dalla società, nonché sottoposte ad una disciplina diversificata con riguardo alla legge di circolazione, allo scioglimento parziale del rapporto sociale, alla tipologia ed alla misura degli obblighi consortili.
L’emissione di azioni speciali non deve necessariamente avvenire a favore di particolari categorie di imprenditori selezionati in base a requisiti soggettivi predeterminati statutariamente.

Motivazione

1. La fattispecie e la soluzione

Nella prassi si ravvisa la necessità di diversificare le prestazioni rese ai soci di una società consortile, creando eventualmente altresì regimi differenziati in ordine alla circolazione delle partecipazioni o alle cause di recesso ed esclusione.
In tale prospettiva, si ritiene funzionale e legittima, in una società consortile in forma di s.p.a., la creazione di categorie di azioni caratterizzate, sul piano del contenuto, dal diritto ad ottenere prestazioni consortili peculiari e diverse da quelle rese ai possessori di azioni ordinarie o di altra categoria.

La possibilità di emettere azioni speciali come sopra connotate non deve ritenersi condizionata alla predeterminazione statutaria di specifici requisiti soggettivi (p.e: attività esercitata o luogo in cui l’attività è esercitata) qualificanti l’imprenditore sottoscrittore, idonei a giustificare il diverso trattamento in punto di prestazione dei servizi consortili perché nelle società consortili per azioni (e in generale in tutte le società consortili che adottino un modello organizzativo diverso da quello della società cooperativa) non trova applicazione il principio di parità di trattamento sancito nell’art. 2516 cod. civ. per la mutualità cooperativa, salvo diversa ed espressa previsione statutaria.

2. La partecipazione del socio ai servizi consortili configurabile quale situazione giuridica attiva di particolari categorie di azioni

Per quanto il tema non formi oggetto di trattazione espressa e puntuale, non è revocabile in dubbio che la società consortile organizzata in forma di s.p.a. possa creare categorie di azioni fornite di diritti diversi ai sensi dell’art. 2348 cod. civ..

È infatti opinione maggioritaria e consolidata che alla società consortile si applichi la disciplina del tipo societario prescelto, e, pertanto, anche la disciplina delle azioni nota1.

Al contempo, tuttavia, è necessario tenere presente, da un lato, che la società consortile è connotata da una funzione precipua, per i più di natura mutualistica, poiché lo scopo di essa consiste nell’erogazione di beni o nella prestazione di servizi principalmente a favore dei soci-imprenditori, che conseguono per tale via un vantaggio patrimoniale mediato direttamente nelle loro economie sotto forma di risparmio di spesa o di maggior guadagno; dall’altro che molteplici regole organizzative delle società (non solo per azioni) sono funzionali allo scopo di lucro indicato nell’art. 2247 cod. civ. nota2.

Anche nella circostanza, pertanto, viene in gioco l’interazione fra causa consortile e disciplina societaria concepita in funzione della causa lucrativa.
Muovendo da tale premessa, si rileva, in primo luogo, che vige oggi il principio di atipicità delle categorie di azioni, espressamente sancito nel secondo comma dell’art.2348 c.c., a mente del quale “la società, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie”.
Ne deriva, nella società per azioni lucrativa, il riconoscimento espresso della facoltà di libera esplicazione dell’autonomia privata nella definizione del contenuto delle azioni speciali nota3.

Secondo la dottrina, tuttavia, l’atipicità delle categorie deve confrontarsi con la tipicità delle società e con la disciplina del tipo nota4.

In particolare, il contenuto delle azioni deve essere coerente e compatibile con la causa tipica del contratto sociale.
Rispettato il principio di coerenza funzionale del contenuto dell’azione speciale alla causa societatis (e di compatibilità con le norme organizzative inderogabili), “qualsiasi situazioni giuridica soggettiva astrattamente attribuibile dallo statuto alle azioni … ed astrattamente suscettibile di una diversa attribuzione ad una parte di azioni rispetto alle altre azioni, è idonea a fondare una categoria azionaria” nota5.

Così ragionando, si devono ritenere idonee a fondare una categoria – oltre ai diritti – anche le altre situazioni soggettive, attive e passive, attribuibili alle azioni.
Allorché si ipotizza l’applicazione della disciplina delle categorie di azioni alla società consortile, le conclusioni proposte dalla dottrina in ordine alla creazione di categorie di azioni nella s.p.a. con scopo di lucro, che si condividono integralmente, devono essere sottoposte ad un vaglio di compatibilità e comunque riadattate alla luce della funzione tipica del consorzio.
Se, infatti, la creazione di azioni speciali nella s.p.a. lucrativa è volta ad incentivare l’investimento, in coerenza alla causa societatis, l’emissione di azioni speciali in una società consortile non può che essere funzionale allo scopo perseguibile tramite il consorzio, scopo che, come già ribadito, si attua tendenzialmente mediante l’erogazione di servizi o la produzione di beni a favore dei soci – imprenditori consorziati.
Dunque, la specificità causale della società consortile impone un adattamento del contenuto delle azioni speciali, anche di quelle tipizzate; il principio di libera conformabilità del contenuto delle categorie di azioni sancito nel secondo comma dell’art. 2348 cod. civ. rende legittimo ogni opzione dell’autonomia privata in tal senso.

3. La diversificazione dei servizi a favore dei soci nella realtà consortile

Nella prospettiva accolta, risulta compatibile alla peculiare causa societatis la creazione di categorie di azioni volte a determinare e organizzare situazioni soggettive differenziate in ordine alla partecipazione ai servizi consortili.

Si immagini una società consortile che esercita plurime fasi di un’attività di impresa: per esempio, agisca come “gruppo di acquisto” di carburante per l’autotrasporto e al contempo svolga anche servizi di lavaggio e rimessaggio degli automezzi; oppure svolga attività di ricerca in un determinato settore produttivo e di marketing per le imprese del medesimo settore.

Può accadere che alcuni imprenditori siano interessati a partecipare solo ad una delle fasi di impresa esercitate dalla società consortile oppure, al contrario, che la società intenda differenziare la prestazione dei servizi. Pare legittimo a tal fine creare categorie diverse di azioni che diano diritto alla prestazione dei servizi afferenti solo ad alcune, e non a tutte, fra le fasi dell’impresa gestite in forma consortile, azioni eventualmente connotate anche, in via cumulativa o alternativa da peculiari regole in tema di circolazione o in tema di recesso o di esclusione, o in materia di partecipazione ai contributi consortili.

A ben vedere, la soluzione proposta si traduce nel mero adattamento alla causa consortile della figura delle azioni correlate ad un determinato settore dell’attività sociale previste nell’art.2350 secondo comma c.c., adattamento che si traduce nell’assumere come riferimento per la correlazione non i risultati economici di quel settore di attività, ma i servizi resi tramite esso.

4. I limiti dell’autonomia statutaria con riferimento alla creazione di categorie speciali di azioni consortili

E’ orientamento diffuso che il consorzio e quindi la società consortile siano strumentali alla realizzazione di un interesse mutualistico dei partecipanti consistente in una riduzione dei costi da sopportare o in un incremento dei ricavi conseguiti.
Muovendo da tale prospettiva causale si potrebbe ritenere che la legittimità della creazione di categorie di azioni caratterizzate dall’attribuzione del diritto di usufruire di minori o di maggiori servizi rispetto a quelli resi ad altri azionisti consorziati debba misurarsi con la ricorrenza del principio di parità di trattamento nella gestione dell’attività nei confronti dei soci.

Tale principio è oggi positivamente sancito solo con riferimento alla mutualità cooperativa: l’art.2516 c.c. stabilisce infatti che “nella costituzione e nell’esecuzione dei rapporti mutualistici deve essere rispettato il principio della parità di trattamento”.

A tal proposito si deve evidenziare, in primo luogo, che la ricostruzione della funzione consortile in termini di mutualità non risulta pacificamente condivisa nota6.

Ammesso (e non concesso) che sia legittimo discorrere di mutualità consortile, giova rilevare che, relativamente alla società cooperativa, si è autorevolmente sostenuto che “l’affermazione della necessità di rispettare la parità di trattamento negli scambi mutualistici rappresenta un corollario del principio di democrazia che dovrebbe essere presente nelle cooperative e che trova, come si è detto, per quanto attiene alle vicende sociali, la sua espressione più vistosa nel voto per testa. Va da sé poi che questi corollari di uguaglianza nei rapporti societari e nel trattamento mutualistico non si muovono su piani diversi, ma interagiscono fra di loro in quanto espressione di un unico principio di mutualità democratica (e solidaristica) che dovrebbe informare l’istituto cooperativo” nota7.

Tali considerazioni sembrano porre una forte pregiudiziale all’applicabilità del principio di parità di trattamento nelle società consortili organizzate in forma di società di capitali.
La mutualità consortile, se ravvisata, è necessariamente fra imprenditori, e come tale si presta ad essere diseguale.

La soggezione, condivisa, della società consortile alla disciplina del tipo adottato conduce infatti alla piana conclusione per cui il diritto di voto è commisurato all’entità del conferimento, o comunque alla partecipazione al capitale, e pertanto prevale, anche nella società consortile, una logica plutocratica, e non democratica, nei rapporti endosocietari e rispetto alla rilevanza del singolo socio sul piano delle vicende societarie.

D’altro canto, si è rilevato autorevolmente che “l’uguaglianza di cui si è sempre discusso nell’ambito delle cooperative è stata riferita ad un indice di riferimento particolare, che è dato dalla persona del socio, mentre nelle altre società vigerebbe un principio di eguaglianza in senso “proporzionale” alla partecipazione al capitale” nota8.

Ne consegue, in coerenza con la medesima logica plutocratica, che anche la partecipazione al vantaggio consortile può essere naturalmente rapportata al rischio economico assunto dal singolo nello svolgimento dell’attività di impresa nota9.

Seppur con cautela, la soluzione proposta è a ben vedere già stata indicata allorchè si rilevava che, al di fuori della società consortile in forma di società cooperativa, non sussiste negli altri tipi societari alcun limite alla quota di capitale sottoscrivibile da ciascun socio. “L’unico limite deriva, infatti, dalla convenienza di ognuno. E’ quindi probabile che, per garantire in qualche modo una certa corrispondenza fra entità della quota società e la misura dei vantaggi mutualistici, occorre determinare la prima (al momento della costituzione della società) in funzione della seconda”, nei limiti del rispetto del patto leonino nota10.

Ammettere come possibile la ricorrenza di un rapporto di proporzionalità fra entità del conferimento e partecipazione al vantaggio consortile significa legittimare una disparità di trattamento, di ordine quantitativo, fra soci rispetto al secondo, poiché è indubbia la possibilità di eseguire conferimenti di diverso ammontare; poiché il vantaggio consortile può attuarsi tramite il godimento dei servizi consortili, ne consegue la legittimità di una diversità di trattamento rispetto alla prestazione di essi.

In tale prospettiva, ed a conforto delle considerazioni proposte, si evidenzia che anche rispetto alle società cooperative si sta facendo strada la tesi per la quale “l’atto costitutivo e i regolamenti possono derogare all’uguaglianza assoluta dei soci, in relazione al godimento dei servizi sociali, anche a prescindere da situazioni di conflitto”, seppur per categorie di soci nota11.
Risulta in definitiva connaturale alla mutualità consortile, se riconosciuta, la facoltà di differenziare la posizione dei singoli consorziati in ordine alla fruizione dei servizi prestati dall’organizzazione.

Sotto questo profilo, pertanto, non sembrano esservi limiti alla possibilità di creare categorie di azioni che incorporino il diritto a prestazioni consortili diverse, non solo in senso qualitativo, ma anche quantitativo, rispetto a quelle di cui possono fruire i consorziati titolari di azioni ordinarie o di azioni appartenenti ad una diversa categoria, in funzione degli obiettivi che i soci e la compagine sociale nel suo complesso si pongono.

Note

nota1

G. VOLPE PUTZOLU, Le società consortili, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, Torino, 1998, pag. 281; A. PROPERSI e G. ROSSI, I consorzi, Milano 1992, pag. 59; G. MARASA’, Consorzi e società consortili, Torino 1990, p. 121 e ss.; G.D. MOSCO, I consorzi fra imprenditori, Milano 1988, pag. 300 e ss.; A. BORGIOLI, Consorzi e società consortili, Milano 1985, pag. 156 e ss.; M.S. SPOLIDORO, Le società consortili, Milano 1984, pag. 147. In giurisprudenza cfr. Cass. Civ., sez. I, 27 novembre 2003, n. 18113.
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nota2

Al punto che secondo taluno si deve affermare “l’automatica inapplicabilità delle norme societarie attinenti alla funzione lucrativa o incompatibili con la funzione consortile” G. Marasà, Consorzi e società consortili, Torino, 1990, p.121.
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nota3

M. Notari, Le categorie speciali di azioni, in Il nuovo diritto delle società, Liber Amicorum G.F. Campobasso, diretto a P.Abbadessa e G.B. Portale, 1, Torino, 2007, 594; nello stesso senso U. Tombari, La nuova struttura finanziaria della società per azioni (Corporate Governance e categorie rappresentative del fenomeno societario, in Riv. Soc. 2004, p.1090 ss).
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nota4

M. Notari, op.ult.cit.p.595
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nota5

M. Notari, op.cit., p.601.
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nota6

In tal senso, da ultimo, G. Perone, L’interesse consortile, Milano, 2008, p.77.
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nota7

G. Bonfante, commento sub. art.2416, in Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, Il nuovo diritto societario, Commentario, ***, Bologna, 2004; p.2410
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nota8

A. Bassi, sub art.2516, in Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari (diretto da), Commentario alla riforma delle società, Società cooperative (a cura di Presti), Milano, 2006, p.84.,
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nota9

La stessa prassi conosce, con ampia diffusione, società consortili costituite per l’esecuzione congiunta di lavori, quali stazioni appaltatrici, nei quali l’entità dei lavori affidati al socio, e quindi il vantaggio economico che ne deriva, sono rapportati alla misura della partecipazione al capitale sociale della società consortile, e quindi all’entità dei mezzi patrimoniali investiti per la creazione e l’organizzazione dell’impresa comune.
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nota10

A. Borgioli, op.cit., p.173.
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nota11

A. Bassi, op.cit., p.85.
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