Liquidazione delle azioni e diritto di opzione in caso di recesso del socio di società consortile per azioni


Massima

In una società consortile per azioni è legittima una disposizione statutaria volta a prevedere che, in caso di recesso del socio, al recedente venga liquidata una somma pari alla frazione di capitale sociale nominale rappresentata dalle azioni per le quali tale diritto viene esercitato. E’ altresì legittima una previsione dello statuto in base alla quale viene escluso il diritto di opzione dei soci sulle azioni del recedente.

Motivazione

1. La fattispecie

Alla luce delle peculiarità delle società consortili è opportuno riflettere sulla legittimità di due ipotetiche disposizioni statutarie di una società consortile per azioni riguardanti la disciplina del recesso del socio.
In particolare, è da chiedersi se sia legittimo prevedere statutariamente che:
i) al socio recedente spetti unicamente la corresponsione di una cifra pari alla frazione del capitale sociale nominale rappresentata dalle azioni per le quali tale diritto viene esercitato;
ii) non sia attribuito al socio – in deroga al disposto di cui all’art. 2437-quater, primo comma cod. civ. – il diritto di opzione sulle azioni del recedente.

2. La soluzione motivata. I criteri di ricostruzione della disciplina applicabile alle società consortili

Per rispondere ai quesiti riportati risulta necessario, in via preliminare, individuare la disciplina applicabile alle società consortili.
Le uniche disposizioni espressamente previste dal codice civile per
questo particolare tipo di società sono quelle di cui all’art. 2615ter, che tuttavia si limita a prevedere che “le società previste nei capi III e seguenti
del titolo V possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati dall’articolo 2602. In tal caso l’atto costitutivo può stabilire l’obbligo dei soci di versare contributi in denaro”. In altri termini, la suddetta disposizione nulla specifica in relazione alla disciplina applicabile, in via generale, a queste società.
A tal proposito parte della dottrina ha sostenuto - in passato - l’applicabilità della normativa dettata dal codice civile in materia di consorzi.
Attualmente, invece, l’opinione maggioritaria e senza dubbio da preferire è orientata nel ritenere che debba applicarsi la disciplina societaria e, quindi, in particolare, quella del tipo societario adottato nota1.

Tanto premesso, deve tuttavia aggiungersi che le società consortili sono caratterizzate da una causa “diversa” rispetto a quella tipicamente societaria (lucrativa). In particolare, il c.d. “scopo-fine” del contratto di società (così come risultante direttamente dalla definizione fornita dall’art. 2247 cod. civ.) è rappresentato dalla divisione degli utili in capo ai soci, con la conseguenza che lo scopo di lucro c.d. soggettivo rappresenta certamente un elemento costitutivo essenziale della fattispecie “società lucrativa”. Diversamente,
invece, nella società consortile: lo scopo di questa (come risulta dall’art. 2602 cod. civ., espressamente richiamato dall’art. 2615ter cod. civ.) consiste nell’erogazione di servizi o nella produzione di beni tendenzialmente destinati agli imprenditori soci, e non a terzi. Tale società, quindi, risulta priva dello scopo di lucro; e ciò perché tramite questa si mira alla realizzazione di vantaggi patrimoniali non “immediati”, bensì “mediati” e consistenti in una diminuzione dei costi o in un aumento dei ricavi e non nella produzione di utili da dividere nota2.

E’ possibile, quindi, affermare che “la gestione mutualistica, e quindi anche la gestione consortile, riassume oggetto e scopo della società” nota3.

In particolare, tale condizione sussiste in quelle società consortili il cui statuto, per godere delle agevolazioni previste dalla legge 21 maggio 1981 n. 240, prevede espressamente il divieto assoluto di operare distribuzioni di utili o riserve sotto qualsiasi forma.

Sulla base di queste sintetiche considerazioni è allora possibile affermare che la causa consortile impone adattamenti della disciplina societaria, la quale è stata pensata dal legislatore sul presupposto della sussistenza di una finalità lucrativa dell’ente. Più in particolare, devono ritenersi legittime eventuali deroghe statutarie alla normativa in materia di società se idonee a conformare la stessa alle peculiarità delle società consortili; e ciò anche nel caso in cui queste riguardino norme generalmente ritenute imperative con riferimento alle società lucrative. In sostanza, “la causa consortile può far regredire talune norme societarie, inderogabili quando viene perseguito lo scopo di lucro, al rango di norme dispositive” nota4.

Deve evidenziarsi, d’altra parte, come l’unica disposizione espressamente prevista per le società consortili (art. 2615ter, secondo comma cod. civ.) contiene una deroga all’ordinaria disciplina dei conferimenti dettata per le società c.d. lucrative, ove è principio pacifico che l’atto costitutivo non può imporre ai soci versamenti/contributi ulteriori rispetto ai “conferimenti”, emergendo allora come il legislatore sia consapevole della singolarità delle esigenze di questi enti e della necessità di una disciplina peculiare. In altri termini, la previsione di cui all’art. 2615ter, secondo comma cod. civ. può essere considerata espressione di un generale principio, secondo il quale è legittima la previsione di deroghe statutarie della disciplina societaria, purché compatibili e funzionali alla causa consortile. Unico limite all’autonomia statutaria deve ritenersi l’impossibilità di incidere sui principi fondamentali che regolano il tipo di società prescelto in modo tale da stravolgerlo e renderlo non più riconoscibile “sotto il profilo organizzativo” nota5.

3. Segue: legittimità di una clausola statutaria volta a prevedere che, in caso di recesso del socio, al recedente venga liquidata una somma pari alla frazione di capitale sociale nominale rappresentata dalle azioni per le quali tale diritto viene esercitato

Alla luce delle considerazioni svolte, deve evidenziarsi quanto segue. Se la differenza sussistente fra la causa delle società c.d. lucrative (ex art. 2247 cod. civ.) e quella delle società consortili è data dal fatto che mentre nelle prime si mira all’ottenimento di vantaggi patrimoniali “immediati”, nelle seconde l’obiettivo è il raggiungimento di vantaggi patrimoniali “mediati”, allora completamente diversa risulta essere la funzione dei conferimenti effettuati dai soci e, in generale, di tutte le risorse versate al fine di finanziare la società, a seconda che vi sia o meno la causa consortile.
In particolare, nelle società lucrative tali risorse rappresentano “investimenti” (cioè mezzi impiegati al fine di produrre nuova ricchezza); conseguentemente, al momento del recesso il socio ha diritto ad ottenere la liquidazione di un quantum che tenga conto, in adempimento al disposto di cui all’ art. 2437-ter, secondo comma cod. civ., “della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni” (e cioè della ricchezza prodotta anche grazie al “proprio” investimento).
Diversa è, invece, la funzione che il conferimento di risorse ha nelle società consortili (e, in particolare, in quelle nelle quali lo statuto vieta espressamente qualsiasi divisione di utili in favore dei soci): in queste i conferimenti effettuati dagli azionisti hanno il fine non di produrre ricchezza da dividere, ma di garantire l’erogazione di servizi o la produzione di beni predeterminati. Da quanto detto emerge come tali versamenti non possano essere considerati “investimenti”, bensì contributi versati in modo tale da garantire i vantaggi patrimoniali “mediati”, come prestabilito.
Tanto premesso, appare legittima l’introduzione in una società consortile di una disposizione statutaria che preveda, in caso di recesso di un socio, la liquidazione di un quantum uguale alla frazione di capitale sociale nominale corrispondente alle azioni per le quali il suddetto diritto è stato esercitato nota6.

Una previsione di questo tipo sarebbe senza dubbio illegittima se prevista dallo statuto di una società lucrativa (in quanto frustrerebbe l’intento lucrativo al quale è preordinato il conferimento), mentre risulta assolutamente compatibile con la natura di un ente caratterizzato dall’ assenza di una qualsiasi finalità lucrativa.

4. Segue: derogabilità della disciplina di cui all’art. 2437-quater, primo comma, c.c.

Venendo ad esaminare il problema della derogabilità della disciplina di cui all’art. 2437-quater, primo comma cod. civ., deve premettersi che l’art. 2437-ter cod. civ., disciplina il procedimento di liquidazione da seguire in caso di recesso del socio di S.p.A. prevedendo, in primo luogo, che“gli amministratori offrono in opzione le azioni del socio recedente agli altri soci in proporzione al numero delle azioni possedute”. E’ poi previsto che qualora i soci non le acquistino, le azioni possono essere collocate presso terzi e, nel caso in cui questo collocamento non abbia successo, queste vengono rimborsate tramite acquisto da parte delle società. In assenza di utili o riserve disponibili l’assemblea straordinaria delibera la riduzione del capitale sociale o lo scioglimento della società.

Nelle società lucrative tale procedimento deve ritenersi inderogabile in tutte le sue fasi nota7.

Se in generale la ratio sottesa al suddetto procedimento è quella di permettere, in caso di recesso del socio, l’uscita di questi senza depauperare eccessivamente il patrimonio sociale e, quindi, garantire la continuità dell’impresa e la tutela dei creditori sociali nota8, diversa è la finalità sottesa alla previsione dell’obbligo di offrire le azioni in opzione ai soci; più in particolare, tale finalità consiste nel tutelare l’interesse del socio ad essere preferito ai terzi esterni alla società in riferimento all’acquisto delle azioni, con la conseguente possibilità di accrescere proporzionalmente la propria partecipazione agli utili (diritti patrimoniali), così come l’incidenza dei propri poteri inerenti all’amministrazione della società (diritti amministrativi).

Ebbene, deve concludersi che in una società consortile - e, in particolare, in una società che gode delle agevolazioni della citata legge n. 240/1981 - il socio potrebbe non avere alcun interesse all’aumento della propria quota di utili o dei diritti amministrativi, con la conseguenza che non sussiste alcuna ragione per ritenere necessaria l’offerta delle azioni in opzione ai soci.
Sulla base di quanto premesso è possibile, perciò, ritenere legittima la previsione di una clausola statutaria che, in deroga al disposto di cui all’art. 2437-quater, primo comma cod. civ., preveda che in caso di recesso del socio gli amministratori collochino direttamente le azioni presso terzi, senza prima offrire le stesse in opzione ai soci.

Note

nota1

In questi termini, fra gli altri, G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 1, Torino 2006, pag. 274 e ss.; F. CASALE, Le società consortili tra diritto comune, diritto speciale e salutari ripensamenti della Cassazione, in La nuova giurisprudenza commentata, 2005, II, 1, pag. 363; M. SARALE, La posizione della Cassazione sulla disciplina delle società consortili: i limiti della rilevanza causale sulla forma societaria, in Giur. Comm. 2005, II, pag. 396 e ss.; ID., Consorzi e società consortili, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, vol. 3, pag. 541 e ss.; E. BRESSAN, Le modalità di rimborso del socio receduto da società consortile, in Giur. Comm. 1999, II, pag. 33 e ss.; G.V. CALIFANO, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi e le società consortili, Milano 1999, pag. 173 e ss.; G. VOLPE PUTZOLU, Le società consortili, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, Torino, 1998, pag. 281; A. PROPERSI e G. ROSSI, I consorzi, Milano 1992, pag. 59; G. MARASA’, Consorzi e società consortili, Torino 1990, p. 121 e ss.; G.D. MOSCO, I consorzi fra imprenditori, Milano 1988, pag. 300 e ss.; A. BORGIOLI, Consorzi e società consortili, Milano 1985, pag. 156 e ss.; M.S. SPOLIDORO, Le società consortili, Milano 1984, pag. 147. In giurisprudenza cfr. Cass. Civ., sez. I, 27 novembre 2003, n. 18113.
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nota2

In tal senso v., ex multis, G.F. CAMPOBASSO, op. cit., pag. 271 e ss.; A. PROPERSI e G. ROSSI, op. cit., pag. 59; G.D. MOSCO, op. cit., pag. 260 e ss.; G. MARASA’, op. cit., pag. 96 e ss.
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nota3

Così G. VOLPE PUTZOLU, op. cit., pag. 271.
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nota4

Così esattamente G. MARASA’, op. cit., pag. 122; in tal senso, fra gli altri, F. CASALE, op. cit., pag. 364; M. SARALE, La posizione della Cassazione, cit., pag. 399; G. VOLPE PUTZOLU, op. cit., pag. 281; A. BORGIOLI, op. cit., pag. 162; M. S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 152.
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nota5

In tal senso v. Cass. Civ., sez. I, 27 novembre 2003, n. 18113.
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nota6

In questi termini anche M. SARALE, op. cit., pag. 555 e 556
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nota7

In tal senso, ex multis, P. PISCITELLO, Recesso del socio, in Riv. dir. soc. 2008, I, pag. 47; V. DI CATALDO, Il recesso del socio di società per azioni, in Il nuovo diritto delle società, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 3, Torino 2007, pag. 250; F. CHIAPPETTA, Nuova disciplina del recesso di società di capitali: profili interpretativi e applicativi, in Riv. Soc. 2005, pag. 513; D. GALLETTI, sub 2437-quater, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, Padova 2005, pag. 1602; M. CALLIGARI, sub 2437-quater, in Il nuovo diritto societario, commentario diretto da G. Cottino e altri, Bologna 2004, pag. 1431; S. CARMIGNANI, sub 2437-quater, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino 2003, pag. 895.
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nota8

In tal senso, ex multis, G.F. CAMPOBASSO, op. cit., II, pag. 499; V. DI CATALDO, op. cit., pag. 248; P. PISCITELLO, op. cit., pag. 46; F. CHIAPPETTA, op. cit., pag. 512.
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