Sotto il vigore delle norme antecedenti la riforma del 2003, la giurisprudenza prevalente, disconoscendo il carattere eccezionale dell'art.
2391 cod.civ. , ammetteva l'impugnabilità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione anche in ipotesi diverse da quella del conflitto di interessi, ritenendo applicabili alla fattispecie in esame le argomentazioni già svolte in tema di eccesso di potere ed elaborate con riferimento alle deliberazioni assembleari (Cfr. Cass. Civ. Sez. I,
3544/88 ; Cass. Civ. Sez. I,
420/90 ; Tribunale di Napoli, 12 gennaio
1989 ; Appello di Milano, 14 luglio
1989 ; Tribunale di Milano, 26 aprile
1990 ).
Gli amministratori infatti, essendo preposti alla gestione del patrimonio sociale in virtù del rapporto che li lega all'ente, "pur godendo di una notevole sfera di autonomia (ed anzi di una vera e propria riserva di competenza), sono sempre soggetti agli obblighi di diligenza, di correttezza e di buona fede propri dei gestori dei patrimoni altrui e agli altri che siano eventualmente connessi con lo svolgimento dell'attività sociale" (Cfr. Tribunale di Roma, 18 marzo
1982 ). Conseguentemente il vizio dell'eccesso di potere sarebbe stato configurabile "ogni qual volta l'attività dell'organo amministrativo, a prescindere da qualsiasi contrasto con espresse previsioni di legge o di statuto, risulti concretamente orientata in senso non conforme all'interesse sociale". Si riteneva tuttavia che l'accertamento della sussistenza dell'eccesso di potere andasse naturalmente effettuato in concreto, valutando la singola fattispecie.