Cass. civile, sez. III del 2013 numero 15981 (08/04/2013)




Nell’illecito lottizzatorio non può ritenersi assiomaticamente sussistente la buona fede dell’acquirente per il solo fatto che quegli si sia rivolto a un notaio quale pubblico ufficiale rogante. Le parti stipulanti infatti - proprio al fine specifico di non fare emergere elementi indiziari di uno scopo lottizzatorio dell’attività negoziale - potrebbero rendere dichiarazioni non veritiere, surrettiziamente incomplete o nebulose, oppure produrre documentazione parziale e non corrispondente alla realtà. Lo stesso notaio, infine, potrebbe concorrere alla lottizzazione abusiva, sia contribuendo con la propria condotta alla realizzazione dell’evento illecito (facendo proprio il fine degli autori del reato, magari anche con attiva induzione propiziatoria) sia per violazione del dovere della normale diligenza professionale media esigibile ai sensi dell’art. 1176 , comma II, c.c.. L’intervento del notaio non garantisce una sorta di "ripulitura giuridica" della originaria illegalità dell’immobile abusivo, permettendo che esso resti definitivamente radicato sul territorio, ne può consentire all’acquirente di godere di un acquisto dolosamente o colposamente attuato in ordine ad un bene di provenienza illecita e al costruttore abusivo di conseguire comunque li suo illecito fine di lucro. Argomentandosi in senso difforme (come efficacemente rilevato in dottrina) lo scempio territoriale, che e intollerabile perchè perpetrato in violazione anche dei doveri di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost., diventerebbe praticamente intoccabile e la cultura dell’illegalità diventerebbe diritto acquisito.

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