Cass. civile, sez. III del 1997 numero 9705 (06/10/1997)


In tema di terapia chirurgica, il dovere di informazione che grava sul sanitario è funzionale al consapevole esercizio, da parte del paziente, del diritto, che la stessa Carta costituzionale, agli art. 13 e 32 comma 2, a lui solo attribuisce (salvi i casi di trattamenti sanitari obbligatori per legge o di stato di necessità), alla scelta di sottoporsi o meno all'intervento terapeutico. In particolare, dalla peculiare natura del trattamento sanitario volontario scaturisce, al fine di una valida manifestazione di consenso da parte del paziente, la necessità che il professionista lo informi dei benefici, delle modalità di intervento, dell'eventuale possibilità di scelta tra diverse tecniche operatorie e, infine, dei rischi prevedibili in sede post operatoria, necessità, quest'ultima, da ritenersi particolarmente pregnante nel campo della chirurgia estetica (ove è richiesta la sussistenza di concrete possibilità, per il paziente, di conseguire un effettivo miglioramento dell'aspetto fisico che si ripercuota favorevolmente sulla sua vita professionale o di relazione), con la conseguenza che la omissione di tale dovere di informazione genera, in capo al medico, nel caso di verificazione dell'evento dannoso, una duplice forma di responsabilità, tanto contrattuale quanto aquiliana. Anche gli stessi e gravi esiti cicatriziali residuati ad un intervento di chirurgia estetica eseguito in violazione del dovere di informazione da parte del sanitario possono integrare gi estremi della "alterazione anatomo patologica dell'organismo" e, conseguentemente, l'elemento oggettivo del reato di lesioni colpose (al cui accertamento il giudice civile sia chiamato "incidenter tantum", onde statuire sulla risarcibilità del danno morale), allorquando tali esiti non siano riferibili ad interventi in cui le possibilità di simili conseguenze dannose erano già state preventivamente ed esaurientemente rappresentate al paziente dall'operatore.

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