Cass. civile, sez. III del 1991 numero 2555 (11/03/1991)


Per l'individuazione dell'obbligo giuridico di impedire l'evento, l'inosservanza del quale, ai sensi dell'art. 40 cpv. c.p., equivale a cagionarlo, non basta fare riferimento al principio del "neminem laedere" sancito dall'art. 2043 c.c., ma è necessaria una norma di legge che lo preveda specificamente, ovvero l'esistenza di particolari rapporti giuridici od ancora una data situazione in ragione della quale il soggetto sia tenuto a compiere una determinata attività a protezione del diritto altrui; situazione che, seppure sia ravvisabile nelle condizioni di pericolosità per il diritto del terzo derivata da una precedente attività lecita del soggetto cui si rimprovera di non essersi poi attivato per impedire che quella pericolosità si traducesse in una concreta lesione, non è invece configurabile quando il soggetto stesso non abbia apportato alcun contributo causale nell'insorgere delle condizioni di quella situazione (nella specie, sulla scorta del principio che precede, la S.C. ha reputato esatta la decisione del giudice del merito, il quale aveva escluso qualsiasi responsabilità di una banca per i danni subiti da un cliente nei locali di essa ad opera di alcuni malviventi introdottisi per effettuare una rapina).Per attività pericolose, in relazione al cui svolgimento l'art. 2050 c.c. stabilisce una presunzione di responsabilità a carico di chi le esercita, devono intendersi quelle che tali sono qualificate dalla legge di P.S. e da altre norme speciali come quelle sugli infortuni sul lavoro ed altresì quelle che abbiano insite la pericolosità nei mezzi adoperati e nella loro stessa natura, talché non può considerarsi pericolosa agli effetti dell'art. 2050 c.c. l'attività bancaria, perché i rischi cui sono esposti i clienti negli istituti di credito in relazione alle azioni di malviventi non derivano dalla natura dell'attività bancaria, potendo la stessa costituire soltanto l'occasione per tali rischi.

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