Il problema della risarcibilità del danno derivante dalla perdita di valore della moneta relativamente alle obbligazioni pecuniarie, assume una rilevanza direttamente proporzionale alla forza dell'inflazione.
Il fenomeno della
svalutazione monetaria può essere collocato nell'ambito dell'adeguamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno afferente a
debiti di valore (Cass. Civ. Sez. II,
878/99 ), risolvendo l'esigenza di adeguare al pregiudizio effettivo l'entità della somma di denaro liquidata a tal fine.
Assai più problematica è invece la collocazione dell'eventuale somma liquidata a titolo di
maggior danno rispetto a quello, forfettariamente determinato nella misura degli interessi legali, che, ai sensi del II comma dell'art.
1224 cod. civ. , può essere risarcito in relazione all'inadempimento di un'obbligazione avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro (obbligazione pecunaria,
debito di valuta).
Proprio quale maggior danno, ai sensi della riferita disposizione, l'ulteriore risarcimento spettante al creditore
consisterebbe nella differenza, computata su base annua,
tra il saggio degli interessi legali ed il tasso di svalutazione monetaria nota1. Conseguentemente dovrebbe essere riconosciuta al creditore la sola rivalutazione (con decorrenza dal giorno di inizio della mora e fino al pagamento), nel caso in cui l'entità percentuale di essa fosse superiore a quella del tasso percentuale degli interessi legali, assorbiti pertanto nel tasso di svalutazione (Cass. Civ. Sez. II,
9392/05 ) . Al più detti interessi sarebbero dovuti a far tempo dalla pronunzia per effetto della quale il credito, ormai liquido ed esigibile, risulterebbe produttivo di interessi compensativi ex art.
1282 cod. civ. (Cass. Civ. Sez.II,
11594/04 ).
Il problema della svalutazione monetaria in relazione alle obbligazioni pecuniarie inadempiute è duplice:
da un lato, infatti, occorre conciliare l'eventuale risarcimento del danno derivante dalla perdita di valore della moneta con il principio nominalistico, dall'altro si tratta di stabilire se la misura del pregiudizio debba essere oggetto di una prova precisa, ovvero in una qualche misura riconducibile ad automatismi basati su presunzioni nota2.Con riferimento a quest'ultimo punto è chiaro che, nella misura in cui si dovessero ritenere ammissibili formule presuntive, ciò importerebbe in fatto la destituzione della portata effettiva del disposto di cui al II comma dell'art.
1224 cod. civ. (laddove pone a carico del creditore la prova del maggior danno). Si determinerebbe la sostituzione della regola predetta con un'altra, che consentirebbe a tutti i creditori il diritto automatico alla rivalutazione uniforme dei propri crediti, in netta deroga al principio nominalistico ed all'esigenza di procedere alla verifica dell'effettiva entità del danno subìto (Cass. Civ. Sez. Unite,
4344/93 ; Cass. Civ. Sez. II,
4018/96 ).
Quanto al primo problema (quello cioè della conciliabilità del risarcimento del danno da svalutazione in tema di obbligazioni pecuniarie rispetto al principio nominalistico) si può osservare quanto segue. Se è pacifico riferire che, nel tempo intercorrente
tra l'insorgenza del debito ed il termine di adempimento, il rischio per la perdita di valore della moneta è posto in capo al creditore,
non è invece dato di conoscere perché, in omaggio ad una malintesa interpretazione del principio nominalistico, questo rischio non debba invece ricadere sul debitore quand'egli sia in mora.Un tempo, infatti, il principio di cui all'art.
1277 cod. civ. veniva interpretato in modo tale da sostanzialmente determinare per il creditore un ulteriore pregiudizio rispetto a quello già insito nella mora. Si sosteneva, infatti, che la regola in base alla quale
il pagamento deve essere effettuato in relazione ad un determinato ed immutabile importo pecuniario avrebbe reso del tutto irrilevante la perdita di valore della moneta. Ciò anche quando il periodo di tempo in cui questa diminuzione di valore fosse intervenuta sia cronologicamente successivo al termine di scadenza dell'obbligazione.
Si tratta sostanzialmente di uno dei maggiori equivoci in cui siano mai caduti recentemente gli interpreti, se è vero che, come pure è stato rilevato, l'acquisizione della risarcibilità del danno che consegue alla perdita di valore della moneta per intervenuta svalutazione, non soltanto non nega il principio nominalistico, bensì anzi lo assume a presupposto, in definitiva esaltandolo
nota3.
Il danno subìto dal creditore per effetto della mancata osservanza del termine di adempimento consiste infatti nella corresponsione della somma di denaro pattuita oltre detto termine. In tanto il debitore può eseguire il pagamento di una somma rimasta invariata rispetto all'importo del pagamento dovuto, in quanto, facendo uso del principio nominalistico in parola, versa nelle mani del creditore lo stesso importo che avrebbe dovuto versare nel tempo previsto per l'adempimento.
Il fatto è che in quel momento, con quel denaro, il creditore avrebbe potuto acquistare ad esempio 100 litri di latte ed invece, quando il pagamento viene effettuato in ritardo, è possibile comprare soltanto 92 litri di latte. Negare il risarcimento del danno per intervenuta perdita di valore della moneta equivarrebbe dunque a far funzionare il principio nominalistico a tutto vantaggio del debitore, in modo del tutto improprio.
Né, con ciò, si determina l'equiparazione tra debito di valore e debito di valuta nota4 . Con riferimento ai debiti della prima specie infatti l'equivalente pecuniario è determinato
ab origine in un certo valore, ragguagliato ad un bene della vita diverso dal denaro, al quale va pertanto commisurato il potere d'acquisto della moneta.
Relativamente al debito di valore non è dunque possibile proporre la riferita distinzione sotto il profilo cronologico tra il tempo anteriore al termine di adempimento (durante la cui decorrenza il rischio conseguente alla svalutazione graverebbe sul creditore)
e tempo successivo al termine (ritardo colpevole del debitore),
in relazione al quale si pone il nodo concettuale in esame. L'adeguamento al mutato valore della moneta opererebbe sempre, non già soltanto in esito al decorso del termine di adempimento, come invece si può dire avvenga per i debiti di valuta.In esito alla mora il creditore ha diritto ad essere risarcito dei danni ad essa riconducibili, rispetto ai quali il principio nominalistico non ha nulla a che vedere
nota5.
Ciò premesso, una volta guadagnato il principio in forza del quale nelle obbligazioni pecuniarie, successivamente alla scadenza del termine di adempimento,
è al creditore risarcibile, ai sensi del II comma dell'art.
1224 cod. civ. , quale maggior danno rispetto alla misura degli interessi moratori,
il pregiudizio per intervenuta svalutazione della moneta, è sorto successivamente il problema della prova e della misura del correlativo pregiudizio. La questione sarà oggetto di separata analisi.
Note
nota1
Bianca, Diritto civile, vol. V, Milano, 1997, p. 204.
top1nota2
Inzitari, La moneta, in Tratt. dir. comm. e di dir. pubbl. dell'economia, dir. da Galgano, vol. VI, Padova, 1983, p. 246.
top2top3nota3
Nicolò, Gli effetti della svalutazione della moneta nei rapporti di obbligazione, in Raccolta di scritti, vol.III, Milano, 1993, p.480.
top3nota4
Ritiene invece più coerente qualificare la fattispecie in esame come debito di valore Quadri, Le obbligazioni pecuniarie, in Tratt. dir. priv., dir. da Rescigno, (Obbligazioni e contratti -I-), vol. IX, Torino, 1999, pp. 540 e ss.
top4nota5
Bianca, Dell'inadempimento delle obbligazioni, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1979, p. 356.
top5Bibliografia
- BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, Bologna - Roma, Comm.cod.civ. a cura di Branca e Scialoja, 1979
- BIANCA, Diritto civile, Milano, V, 1997
- INZITARI, Moneta e valuta / La moneta, Padova, Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. ec., vol. XXV, 1983
- NICOLO', Gli effetti della svalutazione della moneta nei rapporti di obbligazione, Milano, Raccolta di scritti, III, 1993
- QUADRI, Le obbligazioni pecuniarie, Torino, Trattato Rescigno, Obbliogazioni e contratti -I-, IX, 1999