Introduzione dell'euro



La recente storia della realizzazione di un mercato comune europeo prende le mosse dal Trattato di Roma del 25 marzo 1957 istitutivo della Comunità Economica Europea, avente la finalità principale di rimuovere gli ostacoli alla libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali tra i Paesi membri.

A tale strumento è seguito l'Atto unico del 1986, in forza del quale è stata attuata una prima revisione del Trattato di Roma per la realizzazione di un mercato interno senza frontiere e il c.d. Trattato di Maastricht (Trattato sull'Unione Europea, in vigore dall'1 novembre 1993) che ha per scopo la realizzazione di una unione economica e monetaria caratterizzata da un sistema di cambi valutari fissi e da una moneta unica.

Nell'ambito delle procedure volte a consentire questo risultato, nel gennaio 1994 (inizio della II fase) è stato costituito l'IME (Istituto Monetario Europeo), una sorta di fase embrionale della Banca Centrale Europea, con il compito di predisporre le procedure necessarie alla realizzazione della moneta unica.

Il passo successivo, che ha preso le mosse con il primo luglio 1998, ha visto l'entrata in campo del SEBC (Sistema Europeo di Banche Centrali) e della BCE (Banca Centrale Europea): il tutto per governare, la politica monetaria della Comunità, anche attraverso le Banche centrali nazionali le cui competenze, seppure ridimensionate, permangono.

Particolare delicatezza ha assunto la fase di transizione dalle monete nazionali alla moneta unica (c.d. changeover).

Il changeover è intervenuto per il tramite di tre distinti passi:

1° fase (a far tempo dal 1 gennaio 1998). Venne varata l'UEM (Unione Economica Monetaria) con la parallela individuazione dei Paesi membri partecipanti alla fase iniziale dell'introduzione dell'euro (Stati membri comunitari "senza deroga", o, "joiners").

2° fase (a far tempo dal 1 gennaio 1999 fino al 31 dicembre 2001). Si tratta del periodo transitorio durante il quale vennero fissati i tassi di conversione delle varie monete nazionali in euro. Le monete nazionali e l'euro risultavano essere diverse espressioni della stessa moneta (Reg. 974/98, artt. 2 e 6 ). La disposizione ebbe una notevole portata: l'equivalenza ha importato che la sostituzione dell'euro alle valute nazionali non alterava la denominazione degli strumenti giuridici. Era indifferente denominare un debito in euro o in lire: in ogni caso il riferimento alla valuta nazionale risultava valido come se fosse stato fatto in euro. In questa fase l'unità euro poteva essere utilizzata solo come moneta scritturale e le monete nazionali mantenevano il loro corso legale.

3° fase (dal 1 gennaio 2002). Terminato il periodo transitorio è intervenuta l'emissione materiale della nuova moneta, mediante la sostituzione delle valute nazionali con banconote e monete metalliche in euro. Le valute nazionali sono state ritirate dai mercati verso controvalore in euro, cessando di avere corso legale.

I riferimenti alle valute nazionali contenuti negli strumenti giuridici, sono considerati come riferimenti alla moneta unica, con conseguente ridenominazione in euro ("modifica dell'unità nella quale è espresso l'importo di un debito in essere da un'unità monetaria nazionale all'unità euro").

Merita particolare attenzione il periodo di transizione (la fase numero 2), durante il quale valeva il principio "né obbligo, né divieto". In base a quest'ultimo vi era la semplice possibilità (e non obbligo), di adottare l'euro.

Conseguentemente si può riassuntivamente specificare che:

  1. nei contratti già esistenti, le denominazioni effettuate relativamente alla valuta nazionale mantenevano la stessa validità che avrebbero avuto se si fosse trattato di riferimenti all'euro; reciprocamente, la sostituzione delle monete nazionali con l'euro non alterava la denominazione in essere (Reg. 974/98, artt. 6 e 7 );
  2. il passaggio all'euro ha inciso solo sull'unità monetaria utilizzata, non determinando la modificazione degli strumenti giuridici;
  3. anche se i nuovi contratti avrebbero potuto subito essere denominati in euro, di essi poteva darsi attuazione soltanto in euro scritturale, almeno fino al termine del periodo di transizione;
  4. il debitore aveva la possibilità di eseguire i pagamenti non soltanto nella valuta nazionale, bensì anche in euro (ovviamente con moneta solo scritturale): la somma veniva accreditata sul conto del creditore nella denominazione in cui tale conto era espresso, ai tassi di conversione ufficiali fissati (Reg. 974/98, art. 8 , comma III).

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