Cass. civile, sez. II del 1951 numero 698 (30/03/1951)


Nel giudizio di appello in materia di usi civici devono osservarsi le ordinarie norme di procedura vigenti al momento del giudizio, ferme restando le disposizioni speciali, sancite dalla legge 16 giugno 1766, nel regolamento 26 febbraio 1928 n.332 e nella legge 10 luglio 1930 n.1078, in virtù delle quali non ricorre l'applicabilità delle norme sulla costituzione delle parti e sulla istruttoria, così come regolate dal codice di procedura civile del 1940, prima della sua recente riforma attuata con la legge 14 luglio 1950 n.581. L'art. 32 della legge 16 giugno 1927 n.1766, pur attuando il principio della impugnabilità differita per le decisioni preparatorie ed interlocutorie, non imponeva alcun obbligo di riserva di appello. Al solo Commissario per gli usi civici, e non al giudice di appello, la legge attribuisce poteri di iniziativa riguardo al procedimento di accertamento, di valutazione e di liquidazione dei diritti di uso civico nonchè di scioglimento delle promiscuità, di rivendicazione e di ripartizione delle terre. Il giudice di appello, pertanto, nelle questioni per cui il gravame è consentito, non può, nel difetto di una norma che a tanto lo autorizza, decampare dai limiti entro i quali la controversia è sottoposta al suo esame attraverso i motivi di doglianza ritualmente prospettata. Un ente ( nella specie: comune), al quale fu impedito l'esercizio dei propri diritti di uso civico, deve essere reintegrato nella situazione giuridica competentegli mediante la corresponsione di quelle utilità, di cui gli era stato impedito di godere. Poichè l'esercizio degli usi civici, cui il demanio è destinato, è sempre in rapporto, per la sua natura e finalità, con i bisogni della popolazione, è consentito all'Ente, al quale il demanio stesso appartiene, di dare alla terra che sia eccedente alla soddisfazione di tali bisogni una destinazione escludente l'esercizio degli usi, senza che con ciò ne resti alterata la qualità originaria. Sono da considerare demaniali le terre poste a coltura dai cittadini come tali e dall'università titolare di esse e da quest'ultima date in godimento a terzi, per le quali la destinazione costituiva per la stessa università una forma di godimento attraverso la percezione della rendita. L'impugnazione incidentale tardiva è consentita dall'art.334 cod.proc.civ.del 1940 alla parte chiamata ad integrare il contraddittorio solo in quanto tale integrazione sia riferibile all'ipotesi contemplata nel precedente art.331, in quanto, cioè, sussista un rapporto di litisconsorzio necessario e di dipendenza essenziale che determini effetto estensivo alla impugnazione principale.

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