92 - Deroga al divieto statutario di trasferimento delle partecipazioni


Massima

18 maggio 2007

Non è sufficiente il consenso dei soci, espresso al di fuori di un'assemblea straordinaria (nella s.p.a.) o di un'assemblea che deliberi con le maggioranze e con le forme necessarie per modificare l'atto costitutivo (nella s.r.l.), per trasferire con effetto verso la società le azioni o le partecipazioni la cui circolazione è vietata dallo statuto in conformità
al disposto degli articoli 2355-bis, comma 1, o 2469 cod. civ..
Nella s.p.a. è comunque legittima la clausola che - nel limite temporale di cinque anni previsto dall'art. 2355 bis, comma 1, c.c. - preveda il divieto del trasferimento delle azioni e nel contempo l'ammissibilità del trasferimento stesso in presenza del consenso dei soci.
Nella s.r.l. la medesima clausola determina il diritto di recesso ai sensi dell'articolo 2469, comma 2, salva la possibilità di escluderlo limitatamente ad un periodo massimo di due anni.

Motivazione

Il divieto statutario di trasferimento delle partecipazioni ha trovato spesso applicazione nella prima prassi societaria post-riforma: può accadere che, introdotto nello statuto il divieto di trasferimento, si manifesti la necessità o l'opportunità di trasferire delle partecipazioni e che tutti i soci si dichiarino disponibili "una tantum" a consentire
tale trasferimento.
Occorre a nostro avviso considerare separatamente l'ipotesi in cui la clausola de qua sia formulata in pedissequa aderenza alle norme di legge dalla diversa ipotesi in cui la clausola sia redatta in modo tale da consentire il trasferimento in presenza di eventi determinati, dei quali il più usuale e frequente è rappresentato dal consenso
degli (altri) soci.
Partendo dalla prima ipotesi, può apparire quantomeno oneroso stabilire la necessità di una doppia modifica statutaria da parte dell'assemblea - che dovrebbe prima sopprimere il divieto di trasferimento per reintrodurlo una volta che sia stata realizzata l'operazione desiderata.
Giova ricordare che la disciplina legale prevista per le modificazioni dell'atto costitutivo trova applicazione soltanto nei confronti delle clausole di cui sia riconosciuta la natura statutaria in senso proprio, al di là del loro formale inserimento nel documento: nei limiti della presente indagine e per quanto interessa l'attività di controllo notarile, si può ragionevolmente affermare che il divieto di trasferimento delle partecipazioni, se rivolto genericamente ai soci o ad una categoria di azioni, è patto di natura sociale, assoggettato alla relativa disciplina. Pertanto, in quanto clausola statutaria contenente un patto sociale, il divieto di trasferimento potrà essere disatteso soltanto utilizzando il procedimento decisionale proprio dell'organizzazione corporativa (e cioè la deliberazione collegiale) e risulterà comunque operante nei confronti dell'organo amministrativo, poichè gli amministratori sono tenuti a conformare il loro operato allo statuto in senso materiale (v. art. 2392, comma 1 cod. civ.); sarà così fonte di responsabilità per gli amministratori stessi iscrivere
nel libro soci il trasferimento effettuato - seppur con il consenso totalitario dei soci - senza la preventiva abrogazione della clausola.
Affermata l'inderogabilità occasionale in via extra assembleare del divieto di trasferimento in relazione alle clausole formulate in pedissequa aderenza alle norme di legge, resta da esaminare la seconda ipotesi e cioè se alla relativa problematica si possa ovviare mediante l'inserimento nella clausola stessa dell'eccezione al suo operare, che consisterà il più delle volte, come detto, nella necessità del consenso al trasferimento da parte di tutti (od alcuni) degli altri soci, ma che potrebbe anche essere rappresentata, ad esempio, dalla inapplicabilità del divieto ad alcune fattispecie negoziali
di trasferimento (il pegno, la donazione...) ovvero a trasferimenti operati a favore di determinati soggetti o categorie di soggetti (i soci, le società da questi controllate...). Tali casi, della cui legittimità non si può dubitare (atteso che siffatte esclusioni convenzionali dal divieto statutario di trasferimento si sostanziano in divieti di alienazione oggettivamente o soggettivamente parziali) differiscono però dalla clausola che preveda l'espressione di un consenso al fine del legittimo trasferimento della partecipazione, in quanto, solo se così formulata la clausola de qua risulta difficilmente distinguibile
dalla (ed anzi sostanzialmente equiparabile alla) clausola di mero gradimento, di guisa che soltanto in tale ipotesi saranno applicabili le "sanzioni" previste dall'ordinamento per l'impedimento all'esercizio del diritto di exit, e cioè inefficacia della clausola inserita nello statuto di s.p.a. (art. 2355-bis, comma 2 cod. civ.) o diritto di recesso nel caso di s.r.l. (art. 2469, comma 2 cod. civ.).
Tuttavia proprio questa sostanziale equiparazione alla clausola di mero gradimento, e quindi l'applicabilità (in toto) della disciplina inderogabile in tema di trasferibilità delle partecipazioni, consente a nostro avviso almeno due considerazioni.
La clausola che vieta il trasferimento delle partecipazioni salvo il consenso degli altri soci, inserita nello statuto di s.p.a. (con azioni nominative o non emesse), è efficace quando il divieto è contenuto nel limite temporale di cinque anni ed analogamente, se prevista nello statuto di s.r.l., può essere accompagnata all'esclusione del diritto di recesso nel limite temporale di due anni; è palese infatti, anche in tema di s.p.a., che l'incidenza del vincolo apposto in tali ipotesi alla circolazione della partecipazione (consenso degli altri soci o, se si vuole, mero gradimento) è comunque di grado inferiore al divieto assoluto di trasferibilità.
Quando invece non siano espressi limiti temporali di operatività conformi a quelli di cui all'articolo 2355 bis, nella s.p.a. la clausola sarà efficace unicamente nell'ipotesi in cui sia prevista l'applicazione, per il caso di mancato consenso trasferimento, dei "correttivi" indicati nell'art. 2355-bis, comma 2 cod. civ. e cioè obbligo di acquisto a carico della società o degli altri soci oppure diritto di recesso dell'alienante. Ad identiche conclusioni questa Commissione è del resto già pervenuta in tema di prelazione impropria (vedi massime 85 e 86); si ricordano inoltre i principi affermati in tema di gradimento nelle massime , 32, 33, 34.

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