142 - Categorie di azioni e diritto di nomina di amministratori e sindaci (artt. 2348 comma 2, 2351 commi 2, 4 e 5 c.c.)


Massima

19 maggio 2015

É legittima la clausola statutaria che attribuisce a una o più categorie di azioni, quale "diritto diverso" ai sensi dell'art. 2348 c.c., il diritto di nominare uno o più componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, o del consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico.

Il numero degli amministratori, dei sindaci o membri del consiglio di sorveglianza nominabili da ciascuna categoria non deve necessariamente essere proporzionale al numero delle azioni della categoria medesima, né al numero dei voti ad esse spettanti, bensì può coincidere anche con la maggioranza o la totalità dei componenti dell'organo. Resta fermo il limite stabilito dall'art. 2351, comma 2, ult. frase, c.c., in forza del quale le azioni a voto "non pieno" (e pertanto anche quelle cui non spetta il diritto di nominare o di partecipare alla deliberazione di nomina di amministratori e sindaci) non possono comunque eccedere la metà del capitale sociale.

Il diritto di nomina rappresenta, di regola, un diritto da esercitare nell'ambito del procedimento decisionale dell'assemblea ordinaria, senza necessità di una autonoma e preventiva deliberazione dell'assemblea speciale di ciascuna categoria di azioni. E' fatta salva una diversa disposizione statutaria, con riferimento sia alle modalità e alle procedure mediante le quali viene esercitato il diritto di nomina, sia all'efficacia della nomina stessa.

Anche in mancanza di un'espressa previsione in tal senso, deve in ogni caso ritenersi assicurata all'assemblea ordinaria in seconda convocazione, con l'intervento anche di una sola azione dotata di diritto di voto, la possibilità di nominare e revocare tutti i componenti degli organi sociali, ai sensi dell'art. 2369, comma 4, c.c.

Agli amministratori, ai sindaci e ai membri del consiglio di sorveglianza nominati nell'esercizio dei diritti spettanti a una o più categorie di azioni si applicano le medesime norme previste per gli altri componenti dell'organo cui partecipano.

Motivazione

1. - La massima risolve in senso affermativo la questione dell'ammissibilità di una deroga statutaria del principio secondo il quale le cariche sociali sono nominate in modo collegiale da tutte le azioni riunite in assemblea ordinaria, senza distinzione tra "gruppi" di azioni o di azionisti. Pur restando ferma l'attribuzione della decisione alla competenza dei soci, si ritiene cioè che lo statuto possa diversamente allocare il potere di assumere la decisione nell'ambito della compagine sociale, mediante la configurazione di "diritti diversi" attribuiti a una o più categorie di azioni ai sensi dell'art. 2348 c.c.

La derogabilità della regola contenuta nell'art. 2383 c.c. (per la nomina degli amministratori) - già sostenuta da parte della dottrina e da altri orientamenti interpretativi del notariato - si giustifica sulla base del quadro complessivo delle norme in tema di formazione degli organi sociali, per come si è evoluto soprattutto dopo la riforma del 2003. In tale quadro, due elementi in particolare sorreggono l'interpretazione qui accolta:

(i) in primo luogo, il riconoscimento di un'ampia autonomia negoziale e statutaria nella creazione delle categorie di azioni e nella determinazione dei diritti ad esse attribuiti, ad opera proprio dell'art. 2348 c.c., che così dispone: "la società, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie" (enfasi aggiunta);

(ii) in secondo luogo, l'espressa previsione della possibilità per lo statuto di attribuire il diritto di nomina di componenti degli organi di amministrazione e controllo ad altri strumenti finanziari che partecipano al contratto sociale (artt. 2346, comma 6, e 2351, comma 5, c.c.). Con il che, il sistema sembra essere andato ben oltre all'ipotesi eccezionale dei diritti "particolari" di nomina di amministratori e sindaci ad opera dello Stato o di enti pubblici, previsto dall'art. 2449 c.c.. Gli strumenti finanziari partecipativi rappresentano infatti un istituto di carattere generale, a disposizione dell'autonomia negoziale e statutaria al fine di realizzare qualsiasi interesse meritevole di tutela, senza limitazioni né oggettive, né soggettive.

2. - La massima reputa inoltre non più sussistente, ammesso che lo fosse in passato, un rigido principio di proporzionalità tra il "peso" quantitativo delle azioni cui spetta, quale diritto di categoria, un diritto di nomina degli organi sociali e il numero dei componenti oggetto di tale diritto di nomina, nell'ambito di ciascun organo sociale. All'ampia concessione fatta dal legislatore del 2003 all'autonomia negoziale e statutaria nell'ambito delle categorie di azioni e degli (altri) strumenti finanziari partecipativi, si è recentemente aggiunta, con effetti probabilmente decisivi, l'abrogazione del divieto di emissione di azioni a voto plurimo (art. 2351, comma 4, c.c.).

Anche dopo tale modifica, si può continuare ad affermare che il principio di proporzionalità tra rischio e potere rappresenta la regola che connota il regime legale delle s.p.a. (pur nella manifestazione tipica dei sistemi "maggioritari", nei quali chi ha la maggioranza "vince tutto") e che trova applicazione in mancanza di diversa volontà dei soci. Si può altresì affermare che si tratta tutt'ora di un principio "tendenziale", nel senso che gli spazi di deroga concessi all'autonomia statutaria, allorquando venga modificato il coefficiente di attribuzione del diritto di voto (1:1, un'azione, un voto), non sono illimitati, in quanto: (a) se il voto viene "quantitativamente" ridotto, vige il limite della metà del numero complessivo di azioni a voto non pieno, ai sensi dell'art. 2351, comma 2, c.c.; (b) se il voto viene "quantitativamente" aumentato, vige il limite del coefficiente massimo dei voti attribuibili a ciascuna azione, pari a 1:3 (un'azione, tre voti), ai sensi dell'art. 2351, comma 4, c.c. Ma non si può (più) affermare che sia incompatibile col sistema della s.p.a. una modifica del regime legale che attribuisca - in forza di una regola statutaria, valevole anche per tutta la durata la società e nei confronti di qualsiasi socio presente e futuro - ad una parte del tutto minoritaria delle azioni il diritto di controllare la società mediante la nomina di tutti gli amministratori: la mera combinazione di azioni a voto plurimo e azioni senza voto, può infatti consentire a chi detiene più del 12,5 per cento del capitale sociale di nominare tutti i componenti del consiglio di amministrazione.

Se è poi vero che tali strumenti tipici (azioni a voto non pieno e azioni a voto plurimo) hanno un limite inderogabile posto dalla legge, non si può non tener conto del fatto che essi possono comunque combinarsi con ulteriori strumenti tipici con cui può essere derogato il regime legale - si pensi al già citato diritto di nomina attribuibile agli strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, c.c. - o con ulteriori istituti consentiti dalla legge che ottengono effetti analoghi - si pensi ai sistemi di voto di lista o alle altre "norme particolari" che lo statuto può prevedere per la nomina delle cariche sociali ai sensi dell'art. 2368, comma 1, c.c. - con un complessivo potenziale accrescimento dell'effetto "derogatorio" rispetto alla tendenziale proporzionalità tra rischio e potere.

Ciascuno di questi istituti, in altre parole, è soggetto a regole e limiti, più o meno esplicitamente risultanti dalla legge, che riguardano il singolo istituto, ma che non possono essere surrettiziamente estesi agli altri, sulla base di una dogmatica e indimostrata esigenza di preservare a tutti i costi quella proporzionalità tra rischio e potere. Se le azioni a voto limitato non possono essere in numero superiore alla metà delle azioni totali, non si può da ciò desumere l'inammissibilità di azioni a voto plurimo in numero inferiore alla metà delle azioni totali (asserendo che raddoppiare i voti delle azioni B equivale a dimezzare il voto delle azioni A): sono regole diverse, ciascuna dettata per una determinata tipologia di deroga rispetto al paradigma "un'azione, un voto", ma sono comunque regole specifiche che non devono travalicare l'ambito a cui sono destinate. Allo stesso modo, ad esempio, dal limite quantitativo delle azioni senza voto non si può desumere un implicito limite degli strumenti finanziari partecipativi aventi diritti patrimoniali di partecipazione agli utili e agli altri risultati economici dell'impresa (asserendo che sarebbero equivalenti alle azioni senza voto).

Proseguendo su questa linea, non si può nemmeno traslare "matematicamente" il limite dettato per le azioni senza voto (massimo il 50 per cento del capitale) e per le azioni a voto plurimo (massimo coefficiente 1:3) all'ipotesi dell'attribuzione dei diritti di nomina di amministratori e sindaci a speciali categorie di azioni ai sensi dell'art. 2348 c.c., come nel caso oggetto della massima in epigrafe. La possibilità di combinare i diversi istituti sopra menzionati - azioni senza voto, azioni a voto plurimo, strumenti finanziari partecipativi con diritto di voto per la nomina delle cariche sociali, voto di lista, altre "norme particolari" per la nomina delle cariche sociali - non consente infatti di individuare un limite oggettivo e invalicabile oltre il quale l'autonomia statutaria non possa derogare il regime legale e modificare il sistema maggioritario "puro" da esso derivante.

Anche sotto questo profilo - oltre che sotto quello dei diritti patrimoniali - la s.p.a. (e soprattutto la s.p.a. chiusa) è divenuta uno strumento suscettibile di una "contrattualizzazione" molto incisiva, tale da discostarsi in modo sensibile rispetto alla sua connotazione tipica, ma pur sempre senza travalicare i confini del "tipo", divenuti assai più ampi ed elastici rispetto al sistema precedente alla riforma del 2003 e alle successive modificazioni normative.

3. - La massima reputa altresì ammissibile che l'autonomia statutaria, oltre ad attribuire a categorie di azioni il diritto di nomina dei componenti degli organi sociali, disciplini le modalità con cui ciò può avvenire. In mancanza di un'esplicita disciplina, si può ritenere che ciò avvenga nel modo più vicino al regime legale. La nomina viene cioè deliberata dall'assemblea ordinaria, nell'ambito della quale vengono pertanto esercitati i diritti di nomina attribuiti alle diverse categorie di azioni, direttamente in sede di votazione o con le modalità previste dallo statuto o disposte dal presidente, a seconda dei casi. In questo modo, l'efficacia della nomina deriva direttamente dalla deliberazione dell'assemblea ordinaria, la cui "volontà" si forma con il concorso dei diversi diritti di voto, di designazione e di nomina previsti dallo statuto.

Nulla impedisce, peraltro, che l'autonomia statutaria ritenga preferibile disciplinare un procedimento decisionale a formazione progressiva, anche con il concorso delle deliberazioni delle assemblee speciali delle diverse categorie o delle manifestazioni di volontà da parte della totalità dei titolari delle azioni di una o più categorie. Se un simile procedimento è a disposizione dell'autonomia statutaria allorché si decide di attribuire il diritto di nomina agli strumenti finanziari partecipativi (per i quali è pacifico che non si dà luogo ad un'unica votazione e deliberazione insieme agli azionisti in assemblea ordinaria, quand'anche la riunione fosse prevista nello stesso luogo e nello stesso momento), non si vede quale ragione possa giustificare una regola più restrittiva e inderogabile allorché la medesima vicenda venga prevista in ordine a una o più categorie di azioni.

La massima ricorda peraltro l'inderogabilità dell'art. 2369, comma 4, c.c., ai sensi del quale "Lo statuto può richiedere maggioranze più elevate, tranne che per l'approvazione del bilancio e per la nomina e la revoca delle cariche sociali". Ciò fa sì che lo statuto non possa impedire che in seconda convocazione l'assemblea ordinaria sia in grado di nominare tutti i componenti degli organi sociali anche con l'intervento di una sola azione di qualsiasi categoria, in caso di mancato intervento di tutte le altre azioni. Resta fermo che, se le azioni delle categorie cui sono attribuiti i diritti di nomina intervengono effettivamente, lo statuto può comunque riconoscere loro, in modo vincolante anche in seconda convocazione, il diritto di nominare i componenti degli organi sociali nella misura e nelle modalità previste dallo statuto stesso.

Si conclude affermando l'applicabilità analogica della disposizione dettata per gli amministratori, i sindaci e i consiglieri di sorveglianza nominati dagli strumenti finanziari partecipativi (art. 2351, comma 5, c.c.) anche agli amministratori nominati dalle categorie di azioni. Ad essi si applicano, cioè, le medesime norme previste per gli altri componenti dell'organo cui partecipano - e così per quanto riguarda le modalità e le cause di cessazione - fermo restando che lo statuto può prevedere diverse tipologie di clausole e meccanismi per assicurare una determinata "composizione" dell'organo in caso di cessazione di uno o più membri.

Nota bibliografica

1. - Da alcuni anni la dottrina si è espressa a favore della legittimità delle clausole che riservano ad una o più categorie il diritto di nominare i componenti degli organi di amministrazione e controllo. Si vedano: N. Abriani, Partecipazione azionaria, categorie di azioni e altri strumenti finanziari partecipativi, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, volume IV, tomo I, Le società per azioni, CEDAM, Padova, 2010, p. 307 ss., a superamento della posizione precedentemente assunta in N. Abriani, Commento all'art. 2351 c.c., in Il nuovo diritto societario, diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasco e P. Montalenti, Zanichelli, Bologna, 2004, p. 324 ss.; U. Tombari, La nuova struttura finanziaria della società per azioni (Corporate Governane e categorie rappresentative del fenomeno societario), in Riv. soc., 2004, p. 1090; A. Angelillis - M.L. Vitali, Commento all'art. 2351 c.c., in Azioni, a cura di M. Notari, in Commentario alla riforma delle società , diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Milano, 2008, p. 470; F. Bonelli, Gli amministratori di S.p.a. a dieci anni dalla riforma del 2003, UTET, Assago, 2014, p. 21 (il quale ricorda come «la riforma del 2003, avendo spezzato la tradizionale corrispondenza tra «proprietà» e «potere» (.), conferm[i], anche sotto questo profilo, la legittimità di sistemi di nomina degli amministratori che (.) consentano ai soci di slegare la nomina degli amministratori da una precisa proporzionalità con il valore dei conferimenti»); V. Donativi, Strumenti di corporate governance nel rapporto tra fondi di private equity e PMI, in Banca, Borsa e Titoli di Credito, 2008, I, p. 217, il quale si chiedeva se: «l'emissione di azioni con diritto prioritario di nomina sia libera o se debba invece reputarsi subordinata al consenso unanime dell'intero capitale sociale o quanto meno ad un'approvazione ex art 2376 cc.».

Nello stesso senso si veda l'orientamento dell'Osservatorio sul diritto societario del Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, Massima n. 15 - Categorie di azioni e nomina degli amministratori (15/2010), in Orientamenti dell'Osservatorio sul diritto societario, IPSOA, Assago, 2012, p. 45 e ss., ove si afferma che: «è legittima la clausola dello statuto di una s.p.a. che attribuisca ad una o più categorie di azioni il diritto di nominare una componente minoritaria del consiglio di amministrazione o degli organi di controllo; [.]». Dopo il d.l. 91/2014 (e pertanto dopo la modifica dell'art. 2351 c.c.), il predetto Osservatorio ha emesso un nuovo Orientamento, ancora inedito (Categorie di azioni a voto plurimo e nomina delle cariche sociali - 47/2014) ma reperibile all'indirizzo internet del Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato ( http://www.consiglionotarilefirenze.it/index.php/orientamenti.html), nel quale si legge che: «È legittima la clausola dello statuto di una società per azioni non quotata con sistema tradizionale di amministrazione e controllo, che riconosca a due distinte categorie di azioni il diritto di nominare, rispettivamente, la maggioranza (o la totalità) dell'organo di amministrazione e la maggioranza (o la totalità) dell'organo di controllo, purché ciascuna di tali categorie sia titolare della maggioranza dei diritti di voto esercitabili nelle deliberazioni aventi per oggetto, rispettivamente, la nomina degli amministratori e la nomina del collegio sindacale».

In senso contrario si esprimeva quella parte della dottrina ante riforma 2003, supportata da non recenti sentenze di merito, che affermava che il procedimento di nomina dovesse svolgersi in seno all'assemblea generale degli azionisti, essendo tale organo quello preposto - per legge - alla nomina delle cariche sociali: per tutti v. G. Caselli, Vicende del rapporto di amministrazione, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 4, UTET, Torino, 1991, p. 24 (il quale affermava che «appaiono invece in contrasto con i principi ora ricordati le più ricorrenti previsioni statutarie imperniate sulla presenza di una pluralità di categorie d' azioni: così quella che prevede una votazione per assemblee speciali (o comunque votazioni separate), come quelle che assegnino alle varie categorie di azioni di designare alcuni amministratori da eleggersi poi dall'assemblea»).

2. - Fino all'abrogazione del divieto di emissione di azioni a voto plurimo, l'opinione prevalente escludeva l'ammissibilità di previsioni statutarie che riservino la nomina della maggioranza degli amministratori a una categoria di azioni che non rappresenti almeno la metà del capitale sociale: A. Angelillis - M.L. Vitali, Commento all'art. 2351 c.c., cit., p. 470; U. Tombari, Le categorie speciali di azioni nella società quotata, in Riv. soc., 2007, p. 975; Osservatorio sul diritto societario del Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, Massima n. 15, cit., p. 45 e ss.; N. Abriani, Partecipazione azionaria, categorie di azioni e altri strumenti finanziari partecipativi, cit., p. 307 e ss. (ove si legge che: «La volontà legislativa di preservare il rapporto tra proprietà e controllo, espressa da tali precetti, impone infatti di escludere l'ammissibilità di previsioni statutarie che riservino la nomina della maggioranza degli amministratori a una categoria di azioni che non rappresenti almeno la metà del capitale sociale e ciò indipendentemente dalla circostanza che tale risultato si raggiunga direttamente, attraverso l'attribuzione di un diritto di nomina da esercitarsi con votazioni separate delle singole assemblee speciali o indirettamente, mediante meccanismi elettorali. Analogo giudizio di incompatibilità con il principio che fissa nella metà del capitale la soglia massima all'emissione di azioni a voto limitato va riferito alle clausole che ripartiscano tra due distinte categorie di azioni il diritto di nomina, rispettivamente, dell'organo di amministrazione e dell'organo di controllo»). Nello stesso senso, si vedano le osservazioni di M. Notari - A. Giannelli, Commento all'art. 2346, comma 6, c.c., in Azioni, a cura di M. Notari, in Commentario alla riforma delle società , diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Egea-Giuffré, Milano, 2008, p.103 e ss. (ove si afferma che: «se l'ordinamento giuridico impone di far sì che non meno della metà del capitale sociale abbia sempre e comunque il potere di assumere un ruolo dominante nelle deliberazioni di nomina delle cariche sociali (tale essendo il risultato della combinazione delle regole testé ricordate [ndr. art. 2351, comma 2, ultima frase e art. 2351, comma 4], contenute nell'art. 2351, non potrà a maggior ragione ritenersi legittimo uno schema statutario che attribuisca a non soci il potere di nomina della maggioranza degli amministratori»).

3. - Con riferimento alle modalità con cui viene assunta la deliberazione di nomina delle cariche sociali, si vedano: A. M. Leozappa, Nomina delle cariche sociali e categorie azionarie, in Giur. Comm., 1996, I, p. 800 ss. (il quale distingue «a seconda che il diritto di nomina si specifichi nel diritto a eleggere direttamente (tramite votazioni o assemblee speciali) i componenti degli organi sociali, o nel diritto a che questi ultimi siano scelti tra i titolari di una determinata categoria, o nel diritto a designare i componenti degli organi sociali, poi votati dall'assemblea», ritenendo che «nel caso in cui il diritto di nomina si configuri come possibilità di eleggere direttamente i consiglieri di amministrazione o i sindaci, attraverso votazioni o assemblee speciali, non si può non convenire con quell'orientamento che ha individuato nella violazione del principio della unitarietà del procedimento deliberativo e della competenza assembleare argomenti per sostenere la nullità della clausola»); P.M. Sanfilippo, Funzione amministrativa e autonomia statutaria nelle società per azioni, Giappichelli, Torino, 2000, p. 337 ss., ed in particolare p. 351, ove si legge che: «(.) i princìpi cardine che presiedono alla disciplina del procedimento assembleare (...) escludono la configurabilità statutaria di assemblee separate per la nomina di amministratori da parte di determinati "gruppi" di azioni (quand'anche qualificabili come categorie di azioni): siffatta conformazione del procedimento di nomina non garantirebbe né partecipazione né controllo in capo ad ogni socio che non possieda azioni di quel determinato "gruppo" o categoria, essendo per definizione escluso il diritto di intervento (e dunque di discussione) nell'assemblea separata da parte degli estranei a tale "gruppo"; non potendosi poi dar luogo ad un'unica proclamazione e verbalizzazione; e rimanendo infine oltremodo incerta la stessa reperibilità di una impugnativa dai soci esterni a quelle assemblee. L'obiettivo di distribuire le scelte di merito sui preposti in capo a diversi gruppi della compagine sociale, in definitiva, può ben essere perseguito con clausole che introducano votazioni separate per "gruppi" di azioni, purché con svolgimento all'interno della stessa assemblea generale: soltanto l'unitarietà della fase d'iniziativa e di quella costitutiva possono garantire ad ogni socio di soddisfare l'interesse al "controllo" od (anche) alla "partecipazione" sull'intero procedimento di nomina».

In senso opposto, cfr. N. Abriani, Partecipazione azionaria, categorie di azioni e altri strumenti finanziari partecipativi, cit. p. 309, il quale afferma invece che: «l'autonomia statutaria potrà regolare liberamente il procedimento di formazione della volontà sociale in ordine alla nomina degli organi sociali, prevedendo, alternativamente, una votazione separata nell'ambito dell'assemblea ordinaria (generale) ovvero una deliberazione dell'assemblea speciale (o più deliberazioni delle rispettive assemblee speciali), che a sua volta potrà essere configurata quale nomina diretta ed immediatamente efficace, ovvero nomina diretta, ma condizionata nella sua efficacia all'approvazione dell'assemblea generale (che in tale sede potrà unicamente operare un risconto della legittimità del procedimento) o ancora quale mera designazione dei componenti che saranno formalmente nominati dall'assemblea generale». Nello stesso senso, l'orientamento dell'Osservatorio sul diritto societario del consiglio notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, Massima 15, cit., p. 53. [Nota bibliografica a cura di F. Mottola Lucano]

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