Cass. Pen. sez. I del 2015 numero 24405 (08/06/2015)



Il reato di intestazione fittizia di cui all'art. 12-quinquies legge n. 356/1992 e succ. mod., è un reato istantaneo, con effetti permanenti che si consuma nel momento in cui viene realizzata l'attribuzione fittizia. La condotta illecita posta in essere consiste nella fittizia attribuzione ad altri della titolarità di un determinato bene. Perché vi sia detta fittizia attribuzione è necessario che detto bene sia stato realizzato o acquistato con risorse del soggetto che intenda "schermare" il suo investimento patrimoniale e che, per tale ragione, ne attribuisce fittiziamente la titolarità formale dello stesso al terzo. Oggetto dell'incriminazione, dunque, non è la generica disponibilità del bene in capo al soggetto che non ne risulti essere titolare formale, quanto la fittizia attribuzione della titolarità, il che impone la verifica della provenienza delle risorse utilizzate per l'acquisto o la realizzazione del bene.

In caso di contestazione del delitto di cui all’art. 12-quinquies legge n. 356/1992 e succ. mod. non può prescindersi, in sede di applicazione di misura cautelare personale – lì dove vengano in rilievo le modalità di acquisto di un bene immobile – dalla concreta verifica, sia pure indiziaria, della provenienza delle risorse economiche da parte del soggetto che attraverso la pretesa fittizia intestazione tenda ad eludere l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali. (La giustificazione dell’acquisto di un immobile, sul piano finanziario, attraverso la dimostrazione della propria ed autonoma capacità reddituale – potenzialmente utile a realizzare l’acquisto del bene con risorse proprie - rende quindi del tutto insussistente la pretesa fittizietà dell’intestazione).

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