Cass. civile, sez. I del 1984 numero 5259 (18/10/1984)


L'esercizio del diritto di stampa (e quindi di cronaca e di critica) garantito dall'art. 21 cost., può essere censurato anche soltanto in sede civile ex art. 2043 c.c., indipendentemente dalla circostanza che l'illecito sia previsto come reato e comunque non sia punibile per difetto di condizioni interessanti esclusivamente il diritto penale.La forma della critica non è civile non soltanto quando è eccedente, rispetto allo scopo informativo da conseguire, o difetta di serenità o obiettività o, comunque, calpesta quel minimo di dignità cui ogni persona ha sempre diritto, ma anche quando non è improntata a leale chiarezza. Lo sleale difetto di chiarezza sussiste allorché il giornalista ricorra ad uno dei seguenti subdoli espedienti: al sottinteso sapiente (il più sottile e insidioso di tali espedienti è racchiudere determinate parole tra virgolette); agli accostamenti suggestionanti; al tono sproporzionalmente scandalizzato e sdegnato, specie nei titoli, o comunque all'artificiosa e sistematica drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre (classici, a tal fine, sono l'uso del punto esclamativo, o la scelta si aggettivi, ad esempio, "notevole", "impressionante" "strano", "non chiaro"); alle vere e proprie insinuazioni (la più tipica delle quali è quella secondo cui "non si può escludere che..." riferita a fatti dei quali non si riferisce alcun serio indizio).Il diritto di stampa, cioè la libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti, è legittimo quando concorrono le seguenti tre condizioni: a) utilità sociale dell'informazione; b)verità - oggettiva o anche soltanto putativa purché, in quest'ultimo caso, frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca - dei fatti esposti; c) forma civile dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione, cioè non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire, improntata a serena obiettività almeno nel senso di escludere il preconcetto intento denigratorio e, comunque, in ogni caso, rispettosa di quel minimo di dignità cui ha sempre diritto anche la più riprovevole delle persone.

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