Cass. civile, sez. I del 1976 numero 2812 (16/07/1976)


Nella società di persone, il socio receduto e gli eredi del socio defunto hanno diritto solo ad una somma di denaro, che rappresenti il valore della quota. Tale principio trova applicazione anche nel caso in cui lo scioglimento del rapporto sociale, limitatamente ad un socio, determini il venir meno della pluralità dei soci (ovvero, nella società in accomandita semplice, il venir meno dei soci accomandanti o dei soci accomandatari), e, quindi, lo scioglimento della società medesima ove, nel termine di sei mesi, non sia ricostituita detta pluralità. Invero, anche in tale ipotesi, non può riconoscersi un diritto del socio receduto, o degli eredi del socio defunto, a partecipare alla liquidazione della società ed a pretendere una quota di liquidazione, anziché il controvalore in denaro della quota di partecipazione, in quanto lo scioglimento della società costituisce un momento successivo ed eventuale, rispetto allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio, e trova causa non tanto nel venir meno della pluralità dei soci, quanto nel persistere per oltre sei mesi della mancanza della pluralità medesima.Nella società di persone, è lecita la convenzione con la quale si stabilisca che il diritto al controvalore in denaro della quota, spettante al socio receduto od agli eredi del socio defunto, venga regolato in natura, con l' attribuzione di beni sociali a soddisfacimento del relativo credito (cosiddetto datio in solutum). Un tale accordo, peraltro, comportando il trasferimento al creditore dei beni assegnati, è soggetto ai requisiti di forma di cui all' art. 1350 cod. civ., ove riguardi immobili.

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