Cass. civile, sez. II del 2021 numero 17380 (17/06/2021)




Una volta che il promissario acquirente aveva diffidato formalmente il promittente venditore a stipulare il contratto definitivo per poi agire in giudizio, a fronte dell’inerzia della controparte, al fine di far accertare la legittimità del suo recesso dallo stesso contratto preliminare per inadempimento del medesimo promittente venditore, avrebbe dovuto essere quest’ultimo - in virtù del combinato disposto degli artt. 12718 e 2697 cod.civ. - a provare la sussistenza della causa ostativa (quindi impeditiva) alla conclusione del contratto definitivo per l’avvenuto esercizio del diritto di prelazione da parte di uno o più terzi come indicati in preliminare e non il promissario acquirente a dare la prova (negativa) che detti terzi avevano rinunciato ad avvalersi della prelazione e tanto correttamente valutando il tipo di condizione riconducibile a tale pattuizione nel contesto del complessivo assetto scaturente dalle obbligazioni reciproche evincibili dall’intero contenuto del contratto preliminare intercorso tra le parti.
Nel compimento di tale operazione ricostruttiva, il giudice di merito dovrà considerare anche che poiché le parti possono, nell’ambito dell’autonomia privata, prevedere l’adempimento o l’inadempimento di una di esse quale evento condizionante l’efficacia del contratto sia in senso sospensivo che risolutivo, non configura una illegittima condizione meramente potestativa la pattuizione che fa dipendere dal comportamento – adempiente o meno – della parte l’effetto risolutivo del negozio, e ciò non solo per l’efficacia (risolutiva e non sospensiva) del verificarsi dell’evento dedotto in condizione ma anche perché tale clausola, in quanto attribuisce il diritto di recesso unilaterale dal contratto (il cui esercizio è rimesso a una valutazione ponderata degli interessi della stessa parte), non subordina l’efficacia del contratto a una scelta meramente arbitraria della parte medesima.

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