Cass. civile, sez. I del 1970 numero 511 (04/03/1970)


Nelle società di persone il procedimento formale di liquidazione non è imposto dalla legge in modo assoluto ma costituisce una fase facoltativa nella vita della società, istituita nell'interesse dei soci, i quali, quindi, possono anche evitarla pervenendo all'estinzione dell'ente sociale attraverso una divisione consensuale oppure chiedendo al giudice, nelle forme di un giudizio ordinario di cognizione, di definire i rispettivi rapporti di dare e di avere.Nell'ipotesi di "societas unius negotiationis", in cui sia stato esaurito ogni rapporto di dare e di avere con i terzi, i soci per la determinazione del modo di liquidare il patrimonio sociale ben possono ricorrere al giudice nelle forme di un giudizio di cognizione ordinaria, posto che il procedimento formale di liquidazione presuppone la sussistenza di rapporti attivi e passivi da regolare nei confronti di terzi.Nello scioglimento della società semplice la nomina dei liquidatori è necessaria allorquando, nel silenzio del contratto sociale, i soci non siano d'accordo nel determinare il modo di liquidare il patrimonio sociale, cioè quando il dissenso dei soci abbia ad oggetto la necessità di procedere o meno alla liquidazione formale e non quando il disaccordo insorto riguardi soltanto il capo d'indagine ed i poteri del consulente tecnico da nominarsi nel giudizio ordinario di cognizione instaurato per la definizione dei rispettivi rapporti di debito e credito.Nello scioglimento di una società semplice i soci hanno diritto alla ripartizione di somme in proporzione della parte di ciascuno nei guadagni, solo dopo che, estinti i debiti sociali e destinato il residuo attivo al rimborso dei conferimenti, vi sia ancora una eccedenza attiva da ripartire.

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