74 - Cause convenzionali di recesso


Massima

22 novembre 2005

L'atto costitutivo di s.r.l. e lo statuto di s.p.a. possono legittimamente prevedere il diritto di recesso, oltre che nelle ipotesi previste dalla legge:
(i) al verificarsi di (altri) determinati eventi, siano essi rappresentati da deliberazioni di organi sociali, ovvero da atti o fatti diversi, di qualsiasi natura;
(ii) al verificarsi di una "giusta causa", non specificamente determinata dall'atto costitutivo o dallo statuto;
(iii) al mero volere del socio recedente (c.d. recesso "ad nutum");
salva la necessità, in quest'ultimo caso, del preavviso di almeno 180 giorni, previsto dagli artt. 2437, comma 3 cod. civ., e 2473, comma 2 cod. civ..
Il diritto di recesso derivante da cause convenzionali può essere attribuito dall'atto costitutivo o dallo statuto sia alla generalità dei soci, sia ad alcuni di essi (nella s.r.l.) o ad una o più categorie di azioni (nella s.p.a.).
La determinazione del valore di liquidazione delle quote o azioni, nelle ipotesi di cause convenzionali di recesso, può essere disciplinata da criteri liberamente stabiliti dall'atto costitutivo o dallo statuto, anche in totale deroga rispetto ai criteri di liquidazione fissati dalla legge per le cause legali di recesso.

Motivazione

Il sistema del recesso nelle società di capitali, quale emerge dagli artt. 2437 ss. e 2473 cod. civ., è imperniato su di un duplice principio: (i) fissazione di cause legali di recesso, per lo più inderogabili (fanno eccezione le due cause di cui all'art. 2437, comma 2), in relazione alle quali si garantisce il diritto di exit a condizioni tali da assicurare al recedente il valore effettivo della partecipazione; (ii) libertà, per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, di prevedere e regolamentare il recesso in via statutaria in ipotesi diverse da quelle stabilite dalla legge.

Nelle cause convenzionali di recesso l'autonomia statutaria si estrinseca in primo luogo nella elaborazione delle cause stesse. Si può trattare degli eventi più vari: deliberazioni, atti o fatti imputabili a (o influenzati da) organi sociali, loro componenti o singoli soci; atti o fatti imputabili a (o riguardanti) soggetti terzi; situazioni di mercato e/o variamente incidenti sull'attività sociale o sulla convenienza a proseguire nella partecipazione alla società; ma anche fatti determinati non aventi una siffatta incidenza. È anche lecito - benché forse sconsigliabile per evitare dissidi nell'interpretazione e concreta applicazione della clausola - prevedere il recesso per "giusta causa": con ciò intendendosi non già fare riferimento alle cause legali di recesso previste per s.p.a. e s.r.l., ma (in aggiunta a quelle) alle cause che legittimano tale forma di recesso nelle società di persone ai sensi dell'art. 2285 cod. civ..

Si può infatti agevolmente sostenere che una tale formula, se è stata giudicata appropriata dal legislatore nelle società di persone, non v'è motivo perché sia diversamente valutata nelle società di capitali. Si tratterà in questi casi di richiamare l'elaborazione giurisprudenziale e dottrinale sul concetto di giusta causa di recesso nei tipi personalistici, per farne applicazione - con gli eventuali adattamenti - ai tipi capitalistici più o meno "attenuati". Né alcun ostacolo si frappone alla previsione statutaria di un recesso ad nutum. Se infatti è sufficiente non stabilire un termine di durata della società perché la legge vi ricolleghi la possibilità di recedere liberamente con preavviso di 180 giorni (non eliminabile né riducibile, ma soltanto elevabile in via statutaria sino ad un anno), ne deriva che nulla si oppone al recesso libero introdotto dai soci pur in presenza di un termine di durata: l'unica condizione (desumibile in via interpretativa anche in assenza di esplicita previsione statutaria) è che alla libertà assoluta di recesso si accompagni la sua inefficacia prima dell'integrale decorrenza di un periodo di preavviso di almeno 180 giorni.

L'autonomia statutaria in materia di regolamentazione del recesso convenzionale si estende sino agli aspetti della individuazione del beneficiario del diritto e della liquidazione della partecipazione del recedente. Sotto il primo profilo, lo statuto potrebbe riconoscere il recesso convenzionale non ad ogni socio, ma solo ad alcuni: nella s.p.a. mediante elaborazione di una categoria di azioni caratterizzata (soltanto o anche) dal diritto di recesso in casi ulteriori rispetto a quelli di legge; nella s.r.l. mediante riconoscimento di un diritto particolare al recesso in casi aggiuntivi rispetto a quelli di legge. Sotto il secondo profilo, se è vero che il sistema si preoccupa in determinate ipotesi di assicurare la possibilità di uscita del socio a prezzo equo, tutte le volte che sia lo statuto a consentire l'abbandono della società in ipotesi che altrimenti non lo permetterebbero non vi è luogo a discussioni sull'equità del prezzo di uscita. Proprio in quanto lo statuto potrebbe non dare alcuna ulteriore possibilità di recesso, esso potrebbe invece accordare una simile possibilità ancorché a condizioni ben diverse da quelle che si devono osservare nei casi previsti dalla legge: su ciò regna sovrana l'autonomia statutaria, poiché l'effetto di un prezzo di uscita non equo comporta semplicemente l'improbabilità dell'esercizio di un diritto (di recesso) che per legge nel frangente non sussiste.

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