Cass. Civ., sez. III, n. 4400/2004. Ipotesi di responsabilità professionale.

Le obbligazioni inerenti l'esercizio di una attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna alla prestazione della propria opera per raggiungere il risultato considerato, ma non al suo conseguimento. Deriva, da quanto precede, pertanto, che l'inadempimento del professionista alla propria obbligazione non può essere desunto ipso facto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell'attività professionale e, in particolare, del dovere di diligenza per il quale trova applicazione, in luogo del criterio della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale, fissato dall'articolo 1176, comma 2, del Cc, parametro da commisurarsi alla natura dell'attività esercitata. In tanto, pertanto, il danno derivante da eventuali omissioni del professionista è ravvisabile in quanto, sulla base di criteri probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione il risultato sarebbe stato conseguito, secondo un'indagine riservata al giudice del merito e non censurabile in sede di legittimità.

Commento

La S.C. respinge ogni aprioristica conseguenza relativamente alla valutazione dell'inadempimento in tema di c.d. obbligazioni di risultato. Quello che conta infatti è pur sempre la valutazione del grado di diligenza concretamente dimostrato dal debitore ai sensi dell'art. 1176 cod.civ..

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