Cass. Civ., Sez. III, n. 13208 del 31 maggio 2010. Valutazione della gravità dell'inadempimento, violazione del principio di correttezza e buona fede contrattuale.

In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase; pertanto, l'apprezzamento della slealtà del comportamento della parte che invochi la risoluzione del contratto per inadempimento si ripercuote sulla valutazione della gravità dell'inadempimento stesso, nel caso in cui tale soggetto abusi del suo diritto potendo comunque realizzare il suo interesse senza ricorrere al mezzo estremo dell'ablazione del vincolo. Nella fattispecie il creditore che aveva contestato un proprio debito (dichiarato certo e reale nel corso del procedimento) nei confronti della parte debitrice la quale ne aveva eccepito la compensazione, aveva agito richiedendo la risoluzione del contratto, negata sulla scorta della insussistenza dei requisiti di cui all'art. 1455 cod.civ..

Commento

(di Daniele Minussi) Pronunzia chiaroscurale della S.C.. Se infatti si pone mente a che già la legge impone un sindacato relativo alla non scarsa importanza dell'inadempiento del contraente ai fini dell'eventuale risoluzione del vincolo contrattuale, ci si può domandare quale spazio residui per una valutazione della condotta del contraente non inadempimente in chiave di abusività. Sembrerebbe infatti sufficiente il riferimento alla valutazione del giudice che, paragonando la condotta della parti, contemperandone i rispettivi interessi e ponderandoli nel giudizio complessivo imposto dall'art. 1455 cod.civ., si pronunzi, negandola, sulla invocata risoluzione del contratto, senza bisogno di scomodare categorie (quali quella dell'abuso del diritto) dal contrastato peso e discussa rilevanza..

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