Actio interrogatoria e chiamato nel possesso dei beni ereditari. (Cass. Civ., Sez. II, ord. n. 15587 del 1° giugno 2023)

Secondo l'art. 481 cod.civ., chiunque vi ha interesse (sono interessati i chiamati ulteriori, i coeredi nei confronti dei quali operi l'accrescimento, i legatari ed creditori, tanto del de cuius, quanto del chiamato, i beneficiari di oneri e in genere di tutti coloro che abbiano un diritto sui beni relitti e verso l'eredità), può ricorrere al giudice perché fissi un termine entro il quale il chiamato deve dichiarare se accetta o rinuncia; trascorso il quale la legge riconnette la perdita del diritto di accettare (la c.d. actio interrogatoria). Il procedimento è quello previsto dall'art. 749 c.p.c..
Essendo indubbio che scopo dell'actio interrogatoria sia l'abbreviazione del termine previsto dall'art. 480 c.c., la dottrina riconosce che essa non è applicabile al chiamato in possesso dei beni ereditari. Se il chiamato è nel possesso dei beni ereditari, egli deve, ex art. 485 cod.civ., conformarsi alle disposizioni sul beneficio di inventario, entro il termine di tre mesi dall'apertura delle successioni o dalla notizia della devoluta eredità, salvo per il caso in cui sia entrato nel possesso di beni ereditari dopo l'apertura della successione. Se non compie l'inventario entro questo termine acquista la qualità di erede puro e semplice. Sulla base dello stesso rilievo si spiega la ragione per cui, se il chiamato è nel possesso dei beni, l'art. 528 cod.civ. esclude il ricorso alla curatela dell'eredità giacente.

Commento

(di Daniele Minussi)
Non può essere applicato il procedimento di cui alla c.d. actio interrogatoria, la cui funzione sarebbe quella di abbreviare per il chiamato i termini prescrizionali previsti per l'accettazione dell'eredità, quando costui si trovi già nel possesso dei beni ereditari e non abbia espresso l'intento di accettare con beneficio di inventario. Infatti in detta ipotesi opererebbero gli assai più brevi termini decadenziali di cui all'art.485 cod.civ., con la conseguenza che, in esito al mero contegno consistente nel trovarsi nel possesso dei beni ereditari, l'eredità deve reputarsi accettata pure in difetto di una manifestazione di volontà del chiamato.

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